2011-06-11 14:06:26

Turchia. Una sfida alla vigilia del voto: il riconoscimento legale delle comunità religiose


Un passaggio cruciale per la Turchia moderna è il riconoscimento giuridico delle comunità religiose; si tratta di un diritto essenziale, che è anche il presupposto fondamentale per il pieno esercizio della libertà religiosa: è quanto afferma, alla vigilia delle elezioni politiche di domani, Otmar Oehring, responsabile per il settore diritti umani di “Missio Aachen”, ufficio delle Pontificie Opere Missionarie in Germania. In un colloquio con l’agenzia Fides, Oehring sottolinea le carenze nel sistema dei diritti garantiti in Turchia alle comunità religiose: nessuna esiste ufficialmente nella legge turca, manca una regolamentazione che assegni la “personalità giuridica” alle Chiese e alle altre comunità, con tutte le conseguenze che ne derivano (impossibilità di detenere proprietà, di stipulare contratti, di avere dipendenti, di gestire scuole, avviare progetti, avere pubblicazioni, etc). La comunità islamica sunnita (che è maggioritaria nel Paese), pur non avendo uno status legale indipendente – spiega Oehring – almeno vede la sua vita e le sue attività tutelate e ordinate dal riferimento alla “Diyanet”, la Presidenza degli Affari Religiosi, che riporta direttamente al Primo Ministro. Le altre comunità, invece, sono “comunità fantasma”, in quanto vivono un paradosso: “ci sono ma è come se non esistessero”. “Il governo dell’Akp (del premier Tayyp Erdogan) non ha dimostrato un fondato impegno sull’idea che la libertà religiosa sia per tutti, non solo per un gruppo” rimarca Oehring. “Tale singolare situazione solleva anche l’interrogativo se la Turchia possa definirsi uno Stato laico. La personalità giuridica è uno degli aspetti del problema: occorrono cambiamenti nell’atteggiamento dello Stato, della società, della mentalità comune. Sono necessarie modifiche alla Costituzione e al Codice civile. Altrimenti la Turchia fallirà nel realizzare gli obblighi e le aspirazioni nel rispetto dei diritti umani” prosegue. Il riconoscimento legale – spiega – “è fondamentale nella cornice delle relazioni fra Stato e religione” in quanto, negandolo, “si impedisce, di fatto, ai membri delle comunità religiose il pieno esercizio e godimento della libertà di culto e di religione”. Un esempio positivo, in tal senso, è la storia dell’orfanotrofio di Buyukada, confiscato dallo stato nel 1964 e restituito al Patriarcato Ecumenico di Costantinopoli alla fine del 2010. “La vicenda rappresenta una implicita ammissione, da parte dello Stato, che i legittimi proprietari esistono; ma, nonostante ciò, legalmente non sono riconosciuti”. Per ovviare a tali problemi, afferma Oehring, urgono modifiche alla legislazione che le Chiese e le comunità religiose minoritarie chiedono al nuovo governo: in primis l’abolizione dell’art. 101 (comma 4) del Codice civile che vieta alle comunità religiose di avere lo status legale di “fondazioni”. “Finchè le comunità religiose non avranno lo status legale sono impossibilitate a portare avanti le proprie attività responsabilmente e autonomamente” nota Oehring. “Tutto ciò – conclude – rappresenta una violazione verso il rispetto dei diritti umani, da garantire a persone e comunità” ed è alla radice di numerosi problemi sociali e religiosi della Turchia moderna. (R.P.)







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