Benedetto XVI incontra gli zingari europei, a 75 anni dal martirio del Beato gitano
Ceferino Giménez Malla
In occasione del 75.mo anniversario del martirio del gitano spagnolo Ceferino Giménez
Malla, proclamato Beato da Giovanni Paolo II il 4 maggio del 1997, una numerosa rappresentanza
di zingari europei parteciperà sabato e domenica, a Roma, al pellegrinaggio promosso
dal Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti. Momento
culminante del raduno sarà l’incontro, in programma questo sabato nell’Aula Paolo
VI, di Benedetto XVI con oltre 1500 nomadi appartenenti a diverse comunità ed etnie.
Un’incontro che si aggiunge ad altre dense pagine di storia. Le ripercorre in questo
servizio Amedeo Lomonaco:
(musica tzigana)
E’
il 26 settembre del 1965 e gli zingari della tendopoli allestita a Pomezia ricevono
la visita di Paolo VI. Papa Giovanni Battista Montini presiede la Santa Messa e durante
l’omelia sottolinea come l’incontro con il popolo nomade sia “un’esperienza nuova”,
un “grande avvenimento”, una “scoperta differente”:
“Voi oggi, come
forse non mai, scoprite la Chiesa. Voi nella Chiesa non siete ai margini, ma, sotto
certi aspetti, voi siete al cento, voi siete nel cuore. Voi siete nel cuore della
Chiesa, perché siete soli: nessuno è solo nella Chiesa; siete nel cuore della Chiesa,
perché siete poveri e bisognosi di assistenza, di istruzione, di aiuto; la Chiesa
ama i poveri, i sofferenti, i piccoli, i diseredati, gli abbandonati”.
In
quella “memorabile giornata”, Papa Paolo VI si rivolge a coloro che chiama “cari nomadi”
e “cari gitani” con amore paterno. Il suo appello è quello di un padre premuroso:
“Fidatevi!
Non abbiamo nulla da chiedervi, se non che voi accettiate la materna amicizia della
Chiesa. Potremo fare qualche cosa per voi, per i vostri figli, per i vostri malati,
per le vostre famiglie, per le vostre anime, se accorderete alla Chiesa e a chi la
rappresenta la vostra fiducia”.
L’invito a non aver paura, a vivere
alla luce del Vangelo, ha scandito la vita di Ceferino Giménez Malla, umile zingaro
spagnolo fucilato nel 1936, durante la Guerra civile spagnola, per aver difeso un
sacerdote che stava per essere arrestato. Giovanni Paolo II lo proclama Beato il 4
maggio del 1997 e lo indica come “modello da seguire ed esempio significativo dell'universale
vocazione alla santità”:
“La sua vita dimostra che Cristo è presente
nei diversi popoli e razze e che tutti sono chiamati alla santità, che si raggiunge
osservando i suoi comandamenti e rimanendo nel suo amore”.
La carità
di Cristo non conosce limiti di razza e di cultura e “ogni precetto – sottolinea Benedetto
XVI all’Angelus del 13 febbraio scorso – diventa vero come esigenza d’amore”. Riferendosi
al drammatico caso di cronaca dei quattro bambini Rom morti nella loro baracca bruciata,
il Papa sottolinea che la "pienezza della legge e la carità":
“Davanti
a questa esigenza, ad esempio, il pietoso caso dei quattro bambini Rom, morti alla
periferia di questa città, nella loro baracca bruciata, impone di domandarci se una
società più solidale e fraterna, più coerente nell’amore, cioè più cristiana, non
avrebbe potuto evitare tale tragico fatto”.
E in questa società
la dimensione itinerante del popolo zingaro è anche una testimonianza di libertà interiore
di fronte al consumismo, un richiamo al fatto che la nostra vita è un continuo pellegrinaggio
verso un’altra Patria, quella celeste.
(musica tzigana)
Ma
come è nata l’idea di un incontro Benedetto XVI e una rappresentanza di zingari europei?
Fabio Colagrande lo ha chiesto all’arcivescovo Antonio Maria Vegliò,
presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti:
R. – L’idea
è nata a seguito di un colloquio privato concessomi dal Santo Padre Benedetto XVI.
Nella sua sollecitudine verso i poveri, il Papa ha manifestato particolare preoccupazione
per la minoranza zingara ed ha espresso il desiderio di incontrare gli Zingari in
Vaticano, affidando a questo Pontificio Consiglio la promozione dell’evento. Il nostro
Dicastero ha chiesto la collaborazione della Fondazione “Migrantes” della Conferenza
Episcopale Italiana, come pure della Diocesi di Roma e della Comunità di Sant’Egidio.
A pochi giorni dall’Udienza possiamo dire che il gruppo degli Zingari sarà composto
da circa 2000 persone, convenute a Roma anche per festeggiare il 75.mo anniversario
del martirio e i 150 anni dalla nascita del beato Zeffirino Giménez Malla (1861-1936),
gitano martire della fede di origine spagnola. D. -
Che significato assume questo gesto in un contesto europeo in cui numerosi Paesi lavorano
per favorire l’integrazione degli zingari, ma persistono diffidenze ed episodi di
antiziganismo? R. – Come ama sottolineare il Santo Padre, la
Chiesa ha la missione di essere accogliente e di aiutare i cristiani a superare ogni
sentimento di diffidenza, timore o, peggio ancora, di rifiuto verso gli zingari. Pertanto
essa accompagna con fiducia gli sforzi perché siano riconosciuti agli zingari i diritti
di minoranza. Inoltre, essa sostiene l’autentica integrazione di questo popolo e cerca
di aiutarlo a inserirsi nella società, mantenendo la propria identità culturale. La
Chiesa non cessa, poi, di ricordare che anch’essi sono chiamati ad assumersi le proprie
responsabilità.Negli ultimi decenni, si è notata fra i giovani zingari
una presa di coscienza della propria dignità e il desiderio di un maggiore coinvolgimento
nelle decisioni che li riguardano. Si tratta di una realtà percepita anche dal Consiglio
d’Europa e dagli altri organismi internazionali, i quali offrono al popolo zingaro
programmi d’aiuto per uscire dall’emarginazione e partecipare, a pieno titolo, ai
diritti e ai doveri della società. Certamente, c’è ancora molto da fare per rendere
più fruibili gli strumenti di cui dispongono gli organismi internazionali e gli Stati.
D.
– A che punto è lo sviluppo di una pastorale specifica dedicata alle popolazioni zingare? R. – La pastorale specifica degli zingari ha il compito fondamentale di
evangelizzare e di portare loro Cristo. Ma essa non può sottrarsi dalla sua responsabilità
nell’ambito sociale e dal dovere di denunciare le condizioni di povertà in cui versano
e le discriminazioni di cui sono oggetto. Di fronte, poi, alle sfide che vengono dalle
comunità zingare, la Chiesa è chiamata a trovare nuove vie e metodi adeguati per essere
efficace nel suo ministero. Una delle strade da percorrere è quella di insistere sulla
qualità delle relazioni tra zingari e società, che si devono basare sul rispetto reciproco,
sulla conoscenza personale, sull’accoglienza e sul riconoscimento delle legittime
differenze. Certamente, non è un compito facile, ma vi si impegnano con entusiasmo
operatori pastorali, sacerdoti, diaconi e religiosi e religiose. Frutto del lavoro
pastorale sono le vocazioni di popolazioni zingare: per esempio, da pochi mesi in
India è stato nominato il primo vescovo gitano, e vi sono due vicari generali, 25
sacerdoti e 30 Suore. Infatti, anche le Chiese locali sono più sensibili nei riguardi
di questa pastorale specifica e collaborano con organizzazioni internazionali, Congregazioni
religiose e Movimenti ecclesiali. D. – Qual è la strada per
favorire l’integrazione degli zingari nei Paesi europei?
R. – L’integrazione
non è un processo a senso unico. La società, come pure gli zingari, devono mostrarsi
disponibili a percorrere cammini di dialogo e di mutuo arricchimento, che permettono
di valorizzare e accogliere gli aspetti positivi di ciascuno. Tra i fattori
che possono contribuire ad avviare l’integrazione degli zingari, mettendoli in condizione
di partecipare in modo attivo alla vita sociale, economica e politica, vi sono, tra
l’altro, la formazione, l’educazione e la qualificazione professionale. I governi
e le autorità locali già offrono loro la possibilità di accedere all’istruzione scolastica,
utile alla reciproca conoscenza e accoglienza tra bambini e giovani zingari e non
zingari. L’Unione Europea ha avviato un programma di formazione di mediatori culturali
e sociali per gli zingari. La Chiesa è attiva in questo campo con alcune Congregazioni
religiose e Movimenti ecclesiali. Per esempio, in Europa vi sono oggi ben 14 Comunità
salesiane che operano per far diventare i ragazzi e i giovani zingari protagonisti
del proprio sviluppo umano, sociale e cristiano. Posso menzionare i centri educativi
di Bardejov e Košice in Slovacchia, di Kazincbarczika in Ungheria, di Stara Zagora
in Bulgaria, di Havivarov nella Repubblica Ceca e di Tirana in Albania. Inoltre, per
favorire l’inclusione sociale è necessaria un’opera di sensibilizzazione volta
a dare un’immagine positiva degli zingari, della loro identità culturale e dei loro
valori, come il senso della famiglia, il rispetto degli anziani, l’amore per la musica,
per la danza, ecc. Trattandosi di un processo che coinvolge due interlocutori, non
mi stancherò di dire che è necessaria anche da parte degli zingari una buona dose
di fiducia, di impegno e di partecipazione.