2011-06-08 15:05:22

Libia. Gheddafi alla Nato: “rimarrò a Tripoli, vivo o morto”


Mattinata di tregua in Libia, all’indomani intensi bombardamenti della Nato contro la città di Tripoli. Ma a tenere banco è sempre l’audio messaggio di Gheddafi, diffuso ieri dalla Tv di Stato, in cui il rais dice che resterà nella capitale, vivo o morto. Servizio di Marco Guerra:RealAudioMP3

All’indomani dei massicci bombardamenti su Tripoli e in particolare sull’area dove si trova il complesso residenziale del colonnello Gheddafi, è guerra di cifre tra il regime libico e la Nato. Un portavoce del governo di Tripoli ha parlato di 31 morti e decine di feriti provocati da oltre 60 bombe lanciate dagli aerei dell’Alleanza. Dal quartier generale di Bruxelles, i vertici militari hanno dichiarato tuttavia di non poter confermare la notizia ma di “rammaricarsi” per eventuali vittime. E di fronte all’intensificarsi dei raid, Gheddafi non mostra segni di cedimento. “Resterò a Tripoli, vivo o morto”, ha detto attraverso un messaggio audio diffuso dalla Tv di Stato. Il colonnello, successivamente ripreso con alcuni leader tribali, ha quindi fatto sapere che non ha alcuna intenzione di lasciare il suo Paese. Immediata la replica del presidente Usa Obama, secondo il quale la pressione sul leader libico si intensificherà fino a quando non lascerà il potere. La comunità internazionale prova però a lasciare aperto un canale di dialogo: l'inviato speciale delle Nazioni Unite Al Khatib è arrivato a Tripoli per una visita che non era stata annunciata. Al Khatib si era già recato a in Libia metà maggio facendo pressioni per un cessate il fuoco. Intanto torna a Mosca con un nulla di fatto l'inviato russo, Mikhail Margelov, presso il Consiglio Nazionale di Transizione di Bengasi. Margelov ha potuto solo constatare che le divisioni tra gli insorti e Tripoli restano troppo profonde per tentare una soluzione politica. A credere ancora nella mediazione è invece il vicario apostolico di Tripoli, mons. Giovanni Innocenzo Martinelli, il quale mette in guardia circa una possibile spaccatura all’interno del popolo libico.

Siria, violenze
La Siria nel caos dopo il susseguirsi di notizie relative ad insurrezioni armate, arresti arbitrari, repressioni e di supposte defezioni tra i diplomatici di Damasco, prima tra tutte quella dell’ambasciatrice a Parigi, la quale ha tuttavia smentito la notizia con un video in cui assicura “il suo servizio per il Paese”. Intanto, nuove violenze tra oppositori del governo e forze di sicurezza si registrano stamane nella città di Arida, nei pressi del confine con il Libano. Secondo fonti libanesi si contano almeno tre morti tra i civili e due tra i militari. Infine non si arresta l’esodo in Turchia di cittadini siriani in fuga dalla repressione. Nelle ultime 24 ore, altri 120 – fra cui donne e bambini - hanno attraversato il confine. Dal canto suo il premier turco, Recep Tayyip Erdogan, ha assicurato che la Turchia “non chiuderà le sue porte" ai profughi.

Yemen, Saleh sarà operato in Arabia Saudita
Situazione esplosiva nello Yemen, dopo il ricovero in Arabia Saudita del presidente Saleh, ferito venerdì scorso nell'assalto al palazzo presidenziale. Oggi le condizioni del Capo di Stato sono state definite “stabili”, in attesa di un intervento di chirurgia estetica per le ustioni riportate. Intanto continuano i combattimenti e le violenze in varie zone del Paese, mentre nella capitale Sanaa ieri decine di migliaia di giovani manifestanti hanno dimostrato contro il rientro di Saleh e per chiedere la costituzione di un Consiglio presidenziale transitorio. A tentare la mediazione con le opposizioni potrebbe essere il Consiglio di cooperazione del Golfo.

Medio Oriente
Dopo quattro giorni di chiusura che hanno suscitato forti proteste fra i palestinesi, è stato riaperto il valico di Rafah, fra la Striscia di Gaza e l'Egitto. Il responsabile della parte palestinese, Ayub Abu Shaar, ha dichiarato che le operazioni sono riprese in seguito ad un accordo con la parte egiziana, “che tutti hanno accettato".

Tunisia, fissata data elezioni politiche
In Tunisia si svolgeranno il 23 ottobre le prime elezioni dell’era post Ben Ali. Lo ha annunciato poco fa il premier ad interim, al termine di una riunione con i rappresentanti dei partiti e della società civile. La tornata originariamente era previste per il 24 luglio, ma la commissione elettorale ha chiesto più tempo per organizzare serenamente il voto, nonostante il parere contrario di alcuni partiti e dello stesso governo transitorio.

Iran, nucleare
L’Iran torna a sfidare la comunità internazionale sul versante del nucleare e annuncia che procederà con l’arricchimento dell’uranio al 20 per cento nel nuovo sito di Fordo, che si trova 150 Kilometri a sud della capitale nei pressi della città di Qom. Il capo dell’Organizzazione Atomica iraniana ha inoltre annunciato che la produzione sarà aumentata "di tre volte".

Afghanistan
Mohammad Jawad Zahak, il presidente del Consiglio provinciale afghano di Bamyan, è stato ucciso dai suoi rapitori. Il corpo senza vita dell’uomo è stato rivenuto ieri nel distretto di Siah Gird. Ferma la condanna del presidente, Hamid Karzai, che ha attribuito il barbaro assassinio ai “nemici dell’Afghanistan”, che invano tentano di ritardare lo sviluppo del Paese. Intanto è attesa per oggi la pubblicazione del rapporto del Congresso americano sui risultati del programma di aiuti all’Afghanistan. Ad anticiparlo il Washington Post, secondo cui il documento esorta l'Amministrazione Usa a ripensare con urgenza i propri programmi di assistenza alla luce dei “successi limitati”, proprio mentre il presidente Obama si appresta ad avviare il ritiro delle truppe nell'estate prossima.

Pakistan, attacco
Attentato nel Pakistan occidentale. Otto autobotti con carburante destinato alle truppe della Nato in Afghanistan sono state distrutte la notte scorsa nella Khyber Agency. L’azione terroristica non ha, fortunatamente, causato vittime.

Pakistan, minoranze religiose
La difesa delle minoranze religiose in Pakistan è ancora un problema grave e irrisolto. E’ quanto si evince dall’ultimo rapporto del Jinnah Institute di Islamabad, sul tema: “Una questione di fede”. Lo studio – 70 pagine – copre il periodo tra dicembre 2010 ed aprile 2011 e ricorda l’uccisione del governatore del Punjab, Salman Taseer, e del ministro per le Minoranze, Shahbaz Bhatti; denuncia numerosi casi di violenze su membri di minoranze religiose, comprese conversioni forzate all’Islam; e punta il dito contro i ritardi del governo nella modifica della controversa Legge sulla blasfemia, considerata la più dura di tutto il mondo islamico.

Costa d’Avorio
In Costa d’Avorio, importanti ong internazionali hanno lanciato un’allarme sulle violazioni dei diritti dell’uomo, che continuerebbero anche dopo la fine degli scontri armati. Sulla situazione ivoriana, Davide Maggiore ha intervistato Anna Bono, docente di Storia e istituzioni dell’Africa all’Università di Torino:RealAudioMP3

R. – Io penso che queste prime settimane dopo la crisi post-elettorale diano dei segnali abbastanza allarmanti. Decine di persone – si parla di almeno 150 persone – sono state uccise in regolamenti di conti dalle forze del presidente oggi in carica, Alassane Ouattara, che hanno infierito e forse continuano ad infierire sui sostenitori del precedente presidente, Laurent Gbagbo. Non è certo il modo di avviare una reale soluzione di una crisi che non si è sicuramente conclusa. La condizione – è opinione generale – per avviare una soluzione della crisi era la costituzione di un governo di unità nazionale.

D. – Che possibilità ci sono per un processo di verità e riconciliazione sul modello sudafricano?

R. – Che si arrivi ad istituire una commissione non è per niente improbabile. Quello che importa è poi la composizione della commissione ed il suo comportamento. Una commissione, affiancata per esempio dalla Corte penale internazionale, richiede prima soprattutto una stabilizzazione della situazione.

D. – Quali sono a questo punto le prospettive politiche per la Costa d’Avorio?

R. – Il problema fondamentale è che interessi contrastanti, soprattutto tra la parte settentrionale e quella meridionale del Paese, non sono stati superati con la parziale conclusione di questa crisi. Ed è su questo fronte che il nuovo governo e tutte le forze politiche e sociali del Paese dovrebbero impegnarsi.(ap)

Caso Battisti: oggi la sentenza
Ultimo atto in Brasile per il caso Cesare Battisti. Oggi la Corte Suprema deciderà il destino dell’ex terrorista, condannato all’ergastolo in Italia. In particolare, verrà stabilito se la decisione presa dall’ex presidente, Luiz Inacio Lula da Silva, di negare l’estradizione di Battisti in Italia sia in linea o meno con il Trattato di estradizione italo-brasiliano firmato a Roma nel 1989. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra)

Bollettino del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 159







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