Perù al voto di ballottaggio per eleggere il presidente
Oggi, in Perù ballottaggio per l’elezione presidenziale. Sembra davvero tutta aperta
la partita tra i due candidati usciti vincitori al primo turno: Keiko Fujimori, figlia
del presidente-dittatore attualmente in carcere per violazione dei diritti umani e
corruzione, e Ollanta Humala, ex militare deciso a seguire le orme del brasiliano
Lula da Silva. Il 30% della popolazione vive ancora in povertà, ma il Paese registra
una crescita a due cifre e, sul piano economico, entrambi promettono di distribuire
il benessere accumulato negli ultimi cinque anni. In ogni caso, la campagna elettorale
è stata segnata da accuse reciproche, come spiega, nell’intervista di Fausta Speranza,
Luis Badilla, esperto della nostra emittente riguardo le vicende dell’America
Latina:
R. –I due candidati, sia quello che ha preso il primo posto nel primo turno, Humala,
sia la signora Fujimori, si presentano all’elettorato con un’eredità, che riguarda
il loro passato, piuttosto pesante. Questo è stato molto criticato da parte di tutti.
Ora entrambi, che hanno una differenza di sette-otto punti riguardo al primo turno
– Humala ha preso il 31 per cento e la signora Fujimori il 24 per cento – devono fare
i conti con questo passato. Kiko Fujimori in prima persona no perché è piuttosto giovane.
Ma dato che non si è mai dissociata dal padre e non ha mai accettato il fatto che
il padre fosse etichettato come dittatore – è arrivata soltanto a dire che suo padre
presiedeva un governo autoritario, negando tutte le violazioni dei diritti umani e
tutto quello per cui il padre è oggi in carcere – viene vista un po’ come succeditrice
dinastica del padre, anche perché tutto il team che c’è dietro di lei è lo stesso
che aveva il padre. Per quanto riguarda Ollanta Humala, il problema è che ha 11 cause
presso i tribunali per diversi motivi: corruzione, violenza privata e così via. A
dire la verità – bisogna dirlo, perché lo afferma anche la stampa locale peruviana
– il profilo personale di entrambi, seppur per motivi diversi, è abbastanza delicato
e complesso. Quanto peserà tutto ciò nel risultato finale, ancora non lo sappiamo.
Loro devono conquistarsi quel 45 per cento dei voti che hanno preso gli altri candidati
rimasti fuori dal ballottaggio e lì c’è, sostanzialmente, la classe media peruviana,
che sarà decisiva in questo turno elettorale.
D. – Guardiamo al piano
geopolitico regionale. Humala viene definito il “lulandino 2" e quindi, in caso di
vittoria, si prefigura un asse preferenziale con il Brasile e forse anche con la Colombia.
Nel caso vincesse invece la signora Fujimori, che cosa cambierà nell’equilibrio?
R.
– Secondo tutti gli analisti e secondo me, dal punto di vista geopolitico e dal punto
di vista della proposta politica non ci sono molte differenze tra loro. Si tratta
sostanzialmente di due proposto molto populiste, come diciamo in America Latina, affidate
alla forza e al carisma del capo. I programmi sono diversi in molti aspetti, soprattutto
per quanto riguarda i mezzi di produzione strategici, però, alla fin fine, sia l’uno
sia l’altra hanno fatto davvero tante promesse che, è evidente, sarà impossibile soddisfare.
Per quanto sia positivo il momento per la democrazia peruviana – e questo va sottolineato
– è meno promettente, meno positivo per il futuro sia che vinca uno sia che vinca
l’altra, Va poi ricordato che questo è un Paese che ha vissuto fino a pochi anni fa
una gravissima instabilità politico-istituzionale e questa è un’eredità che sta lì,
come una spada di Damocle, e giocherà un ruolo importante nel futuro del Paese.
D.
– In definita, in questa campagna elettorale, così avvelenata anche per via del passato
dei candidati e così incentrata sulle questioni e prospettive economiche, c’è stato
spazio per parlare di valori?
R. – Se ne è parlato non in un modo molto
approfondito. Spesso lo si è fatto in un modo violento, polemico, perché sono state
chiamate in causa le unioni gay, il divorzio, l’eutanasia. Si è parlato cioè di tutti
i temi cosiddetti “eticamente sensibili”, che preoccupano non solo la vecchia, cara
Europa, ma anche l’America Latina ed altre regioni del mondo. Però, in realtà, non
si è approfondita molto questa tematica. La voce della Chiesa, in questo senso, è
rimasta purtroppo inascoltata. La Chiesa ha chiesto in diversi momenti di pronunciarsi
con chiarezza e trasparenza su questi argomenti, però, alla fine, la necessità di
conquistare voti – soprattutto in un ballottaggio – ha oscurato la verità di queste
questioni eticamente sensibili. Saranno temi da sviluppare con il prossimo presidente.
(vv)