Il commento di padre Bruno Secondin al Vangelo della Domenica
Nella Solennità dell’Ascensione la liturgia ci propone il passo del Vangelo in cui
Gesù risorto si prepara a salire in cielo, alla destra del Padre. Si manifesta su
un monte in Galilea ai discepoli, che tuttavia restano dubbiosi. Ma il Signore li
esorta così:
“Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli
nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo”.
Su questo brano
del Vangelo, ascoltiamo il commento del padre carmelitano Bruno Secondin, docente
di Teologia spirituale alla Pontificia Università Gregoriana:
È arrivato
il momento del commiato, Gesù lascia definitivamente i discepoli. L’appuntamento è
in Galilea, da dove tutto era cominciato, come piace ricordare a Matteo, non tanto
per valore geografico, ma simbolico e teologico. Era territorio di mescolanza etnica
e religiosa, sui confini con altri mondi religiosi e facile preda degli eserciti invasori.
In quel contesto la missione che Gesù affida ai suoi discepoli acquista orizzonti
aperti e sfidanti: la loro destinazione sono “tutti i popoli” e l’impegno dura “fino
alla fine del mondo”. Eppure sono solo uno sparuto gruppetto, sprovveduti e anche
dubbiosi su tutto quello che hanno visto e vissuto. Non fa niente, a loro Gesù affida
il compito di raggiungere i popoli e annunciare il vangelo del Regno, chiamandoli
a conversione e apertura di cuore. Dovranno battezzarli, cioè immergerli nel mistero
del Dio Uno e Trino, dovranno comunicare le grandi Parole di Dio pronunciate dal Figlio,
perché ne siano impregnati e in esse trovino senso e verità a cui vincolarsi con amore.
Ci vuole davvero, come scrive Paolo nella seconda lettura, “uno spirito di sapienza
e di rivelazione” per mantenere fedeltà al messaggio genuino, per mettersi sulle strade
dell’annuncio con coraggio e creatività, per attraversare Giudea e Samaria e spingersi
fino ai confini della terra. Interverrà lo Spirito, li temprerà col fuoco e la profezia.