2011-06-02 14:44:47

Tensione nello Yemen: scontri tra esercito e oppositori nella capitale Sanaa


Torna a salire la tensione nello Yemen. Nella capitale Sanaa sono in corso combattimenti tra l’esercito regolare e le milizie della potente tribù al Hashid, che ha appoggiato la rivolta contro il presidente Saleh. In mattinata sono stati sospesi i voli in partenza dalla capitale: solo ieri ci sono stati una quarantina di morti, quindici quelli che hanno perso la vita la notte scorsa. Scontri, in queste ore, si segnalano anche nella città meridionale di Taiz. Ma quale sarà l’esito del processo rivoluzionario nel Paese? Eugenio Bonanata lo ha chiesto a Farian Sabahi, docente di Storia dei Paesi islamici all’università di Torino e autrice del libro "Storia dello Yemen":RealAudioMP3

R. – Il ruolo dei miliziani che fanno capo alla tribù degli al Hashid è molto importante perché di quella stessa confederazione fanno parte anche il clan e la tribù dello stesso presidente Saleh che è al potere da 33 anni. Il ruolo dei miliziani tribali è importante anche perché si aggiunge alla ribellione del generale Alì Mohsin e dei suoi uomini che un tempo erano tutti fedeli al presidente Saleh.

D. - Assisteremo ad una recrudescenza della violenza?

R. – C’è stata di fatto una escalation di violenza proprio negli ultimi 10 giorni, nell’ultima settimana, perché il presidente Saleh sembrava voler firmare la transizione sponsorizzata dai Paesi arabi del Golfo, ma in realtà poi si è trattato di un bluff e quindi l’opposizione è nuovamente insorta.

D. – Secondo lei quale sarà l’esito della rivolta alla luce dell’impegno dei miliziani tribali?

R. – L’impressione è che Saleh abbia ormai perso consenso in Yemen e che quindi l’opposizione sia decisa a lottare fino al momento in cui riuscirà a scacciarlo. Molto dipenderà dalla posizione che prenderà l’Occidente perché non dobbiamo dimenticare che se Saleh regna da 33 anni è perché è capace di mettere una tribù contro l’altra e anche di agitare lo spettro del terrorismo di al Qaeda per ottenere aiuti militari e consenso dall’Occidente. Dopo l’11 settembre, Washington ha dato al presidente yemenita diversi milioni di dollari, soprattutto il sostegno militare necessario a schiacciare alcuni gruppi di opposizione al nord, che sono stati spacciati per pericolosi terroristi e sono stati colpiti dai droni statunitensi. Al sud, invece, c’è un movimento secessionista che cerca di abbandonare il nord a 21 anni dall’unificazione.

D. – Secondo lei possiamo assistere ad una saldatura tra i due movimenti, cioè quello secessionista al sud di ispirazione qaedista e quello antigovernativo?

R. – Sì, di fatto ormai il sud secessionista sta combattendo nell’opposizione perché in questi 21 anni di unificazione si è sentito colonizzato. Il grosso problema è che il regime di Saleh ha fatto di Sanaa la capitale dello Yemen unificato il 22 maggio 1990, ma non ha fatto gli investimenti necessari al sud. Pensiamo al porto di Aden che è stato dato in concessione alla stessa società che gestisce il porto di Gibuti nel Corno d’Africa: i due porti sono ovviamente in concorrenza e la società che gestisce il porto di Gibuti non ha nessuna intenzione di fare gli investimenti ad Aden. Detto questo, il sud si sente colonizzato dal nord.

D. – A quattro mesi dall’inizio della rivolta quali sono gli effetti sulla società yemenita?

R. – C’è molto timore. Già era un Paese dove non era così facile muoversi da una parte all’altra del Paese. Anche l’Italia ha chiuso temporaneamente l’ambasciata e rimpatriato il personale per le minacce che ci sono state nei confronti dei diplomatici. Quindi una situazione estremamente pericolosa, ma una situazione in cui paradossalmente le donne si stanno non dico emancipando ma stanno avendo una maggiore partecipazione sociale. Questo perché quando mariti, padri, figli e fratelli sono rinchiusi nelle carceri e sono perseguitati queste donne sono state obbligate a scendere in strada e a reclamare la liberazione dei loro cari. Dunque, maggiore democrazia, ma anche maggiori diritti per sé in un Paese dove la violenza domestica non è ancora reato, dove soltanto tre donne siedono in Parlamento; il Paese delle “spose bambine”, dove soltanto il 31 per cento delle femmine viene iscritto alle scuole elementari.(bf)








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