2011-06-02 15:21:32

Sudan: popolazioni del Sud tra fame e violenza del Nord. Mons. Mazzolari: urgente l'intervento internazionale


Serve un maggiore impegno da parte della comunità internazionale per fronteggiare fame e povertà in Sud Sudan, alle prese con le continue minacce del Nord, in particolare in relazione alla regione petrolifera dell’Abyei. L’appello è di mons. Cesare Mazzolari, vescovo della diocesi sudanese Rumbek. Ieri, il presule - presso la sede della nostra emittente - ha partecipato ad una conferenza stampa in vista della dichiarazione ufficiale, che, a Juba, il prossimo 9 luglio, sancirà ufficialmente la nascita del Sud Sudan come Stato indipendente da Khartoum. Ecco la testimonianza di mons. Mazzolari al microfono di Eugenio Bonanata:RealAudioMP3

R. - Purtroppo, viviamo una difficile situazione anche nella nostra diocesi: persone nella povertà che vivono di pastorizia … Adesso inizia la stagione della pioggia e i granai sono vuoti. Questo incide molto anche sulla loro fame, sulla loro situazione di disagio. Verranno molte malattie perché questa gente adesso vive nella foresta sotto le intemperie e molti saranno colpiti da polmoniti; non ci sono medicine nella foresta e quindi saranno purtroppo decimati da questa situazione.

D. – Cosa fa la Chiesa nel Sud Sudan?

R. – Durante tutta la guerra abbiamo fatto il lavoro umanitario a livello materiale e di trasporto. Noi adesso siamo la voce che fa appello al mondo e dice: la Chiesa non ha queste risorse, neppure è il suo vero compito; noi faremo un lavoro complementare, saremo lì con i nostri catechisti, insegnanti e laici, educati a come intervenire nell’emergenza; ma noi non abbiamo il cibo, non abbiamo le cose di cui la gente ha bisogno e deve essere la Comunità internazionale che a questo punto deve impegnarsi insieme al governo.

D. – Dunque bisogna darsi da fare in prospettiva del 9 luglio perché altrimenti la situazione rischia di precipitare?

R. – Esatto. Senz’altro è da aspettarsi, e ce l’aspettavamo, la tensione che Khartoum continuerà a generare. Li conosciamo bene. Hanno concesso la secessione perché il 98 per cento della gente ha chiesto la secessione; a quel punto, sbalorditi, insieme a tutti gli Stati hanno concesso la separazione ma a malavoglia: per loro questo referendum era una tregua dalla guerra, loro avrebbero voluto continuare a conquistare la terra del Sud che è piena di risorse.

D. – La regione dell’Abyei resta il centro delle tensioni, secondo lei, c’è il rischio di una recrudescenza delle violenze nell’area?

R. - Sì, alcune violenze sono già state commesse e quindi la gente è fuggita da Abyei. Sono morte 7, 8 persone in un bombardamento. Il Sud non vuole essere messo in una posizione di provocazione verso la guerra: abbiamo avuto 22 anni di guerra. Noi sappiamo precedentemente dal presidente del Sud che il suo atteggiamento è quello di mantenere la tranquillità senza però causare quello che vorrebbe Khartoum, che è veramente una provocazione alla guerra.

D. – I militari di Khartoum hanno occupato la zona dell’Abyei mentre il Nord e il Sud sono riusciti a trovare un accordo per creare una zona smilitarizzata al confine?

R. – Si sono già radunati una volta per creare quello che loro chiamano a “joint military council” allo scopo di calmare queste dispute sul possesso del territorio e di favorire la condivisione di beni. Questo non vuol dire soltanto cedere un pezzo di terra; vuol dire permettere, per esempio, il pascolo degli animali a Sud e a Nord di questa frontiera, che sarebbe il 12.mo parallelo e che divide il Sud dal Nord. Vuol dire anche poter fare il commercio andando dal Nord al Sud e viceversa e che i bambini del Nord potrebbero venire a scuola in strutture che sono attive nel Sud e poi tante altre cose. (bf)







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