Sudan: popolazioni del Sud tra fame e violenza del Nord. Mons. Mazzolari: urgente
l'intervento internazionale
Serve un maggiore impegno da parte della comunità internazionale per fronteggiare
fame e povertà in Sud Sudan, alle prese con le continue minacce del Nord, in particolare
in relazione alla regione petrolifera dell’Abyei. L’appello è di mons. Cesare Mazzolari,
vescovo della diocesi sudanese Rumbek. Ieri, il presule - presso la sede della nostra
emittente - ha partecipato ad una conferenza stampa in vista della dichiarazione ufficiale,
che, a Juba, il prossimo 9 luglio, sancirà ufficialmente la nascita del Sud Sudan
come Stato indipendente da Khartoum. Ecco la testimonianza di mons. Mazzolari al microfono
di Eugenio Bonanata:
R. - Purtroppo,
viviamo una difficile situazione anche nella nostra diocesi: persone nella povertà
che vivono di pastorizia … Adesso inizia la stagione della pioggia e i granai sono
vuoti. Questo incide molto anche sulla loro fame, sulla loro situazione di disagio.
Verranno molte malattie perché questa gente adesso vive nella foresta sotto le intemperie
e molti saranno colpiti da polmoniti; non ci sono medicine nella foresta e quindi
saranno purtroppo decimati da questa situazione.
D. – Cosa fa la Chiesa
nel Sud Sudan?
R. – Durante tutta la guerra abbiamo fatto il lavoro
umanitario a livello materiale e di trasporto. Noi adesso siamo la voce che fa appello
al mondo e dice: la Chiesa non ha queste risorse, neppure è il suo vero compito; noi
faremo un lavoro complementare, saremo lì con i nostri catechisti, insegnanti e laici,
educati a come intervenire nell’emergenza; ma noi non abbiamo il cibo, non abbiamo
le cose di cui la gente ha bisogno e deve essere la Comunità internazionale che a
questo punto deve impegnarsi insieme al governo.
D. – Dunque bisogna
darsi da fare in prospettiva del 9 luglio perché altrimenti la situazione rischia
di precipitare?
R. – Esatto. Senz’altro è da aspettarsi, e ce l’aspettavamo,
la tensione che Khartoum continuerà a generare. Li conosciamo bene. Hanno concesso
la secessione perché il 98 per cento della gente ha chiesto la secessione; a quel
punto, sbalorditi, insieme a tutti gli Stati hanno concesso la separazione ma a malavoglia:
per loro questo referendum era una tregua dalla guerra, loro avrebbero voluto continuare
a conquistare la terra del Sud che è piena di risorse.
D. – La regione
dell’Abyei resta il centro delle tensioni, secondo lei, c’è il rischio di una recrudescenza
delle violenze nell’area?
R. - Sì, alcune violenze sono già state commesse
e quindi la gente è fuggita da Abyei. Sono morte 7, 8 persone in un bombardamento.
Il Sud non vuole essere messo in una posizione di provocazione verso la guerra: abbiamo
avuto 22 anni di guerra. Noi sappiamo precedentemente dal presidente del Sud che il
suo atteggiamento è quello di mantenere la tranquillità senza però causare quello
che vorrebbe Khartoum, che è veramente una provocazione alla guerra.
D.
– I militari di Khartoum hanno occupato la zona dell’Abyei mentre il Nord e il Sud
sono riusciti a trovare un accordo per creare una zona smilitarizzata al confine?
R.
– Si sono già radunati una volta per creare quello che loro chiamano a “joint military
council” allo scopo di calmare queste dispute sul possesso del territorio e di favorire
la condivisione di beni. Questo non vuol dire soltanto cedere un pezzo di terra; vuol
dire permettere, per esempio, il pascolo degli animali a Sud e a Nord di questa frontiera,
che sarebbe il 12.mo parallelo e che divide il Sud dal Nord. Vuol dire anche poter
fare il commercio andando dal Nord al Sud e viceversa e che i bambini del Nord potrebbero
venire a scuola in strutture che sono attive nel Sud e poi tante altre cose. (bf)