L'Italia festeggia i 65 anni della Repubblica nel 150.mo dell'unità
L’Italia celebra oggi la Festa della Repubblica a 65 anni del referendum popolare
del 1946 che abolì la monarchia. La ricorrenza ha oggi un particolare significato
anche perché cade nel 150.mo dell’Unità d’Italia. In Via dei Fori Imperiali, a Roma,
si è svolta la tradizionale parata militare alla presenza del capo dello Stato, Giorgio
Napolitano. In molti hanno ribadito che questa è una festa per rafforzare i valori
condivisi, a partire dall’unità del Paese. Alessandro Guarasci ha sentito il
costituzionalista dell’Università Cattolica Enzo Balboni:
R. - Mai
come in questo periodo gli elementi di democrazia sostanziale, il voto largamente
partecipato di domenica scorsa, ed anche adesso poter fare i referendum, segnalano
che abbiamo un Paese che, in qualche modo, si sta risvegliando. Io, a prescindere
dai risultati, ho visto molti giovani - finalmente - di nuovo interessati alla politica,
alla Costituzione e alla Repubblica. Questo è un bellissimo segno.
D.
- C’è però il federalismo che continua ad essere vissuto, in una parte del Sud, un
po’ come un’imposizione…
R. - Il federalismo di adesso ha, in realtà,
una qualche riforma fiscale che pure è necessaria per aumentare l’autonomia ma anche
la responsabilità di Regioni e Comuni. Il federalismo non lo vedo più così male o
così dirompente dell’unità nazionale, come potevamo temere cinque anni fa.
D.
- Professore, un 2 giugno per mettere fine anche al clima di rissa che ha caratterizzato
la politica negli ultimi mesi?
R. - Il fatto che Berlusconi cominci
ad essere meno in primo piano e che nella vita politica emergano anche altre personalità,
secondo me fa bene a tutti: una giusta leadership nel centrodestra, altrettanto nell’opposizione,
e nel Terzo Polo se avrà la capacità di imporsi. Direi che rispetto all’anno scorso
è un 2 giugno migliore. (mg)
Sul significato di questa festa si sofferma
al microfono di Luca Collodi l’ordinario militare per l’Italia, mons. VincenzoPelvi:
R. - Quest’anno
la felice coincidenza - nascita della Repubblica e 150 anni dell’Unità d’Italia -
diventa una spinta, una scossa di cuore, perché dobbiamo cambiare il modo di vedere
le situazioni della storia ed essere aperti alla democrazia e alla solidarietà.
D.
- Quali auguri possiamo formulare per la festa della Repubblica Italiana e delle Forze
Armate?
R. - Riprendo il pensiero del nostro presidente della Repubblica:
riferiscono quanto è nello spirito della preghiera recentemente vissuta a Santa Maria
Maggiore con il Santo Padre e i vescovi italiani: “L’Italia è una ed è indivisibile”.
Penso che questo possa essere l’augurio più bello: un Paese sempre più amalgamato,
al di là dei soggettivismi e degli egoismi, e una patria che il Signore ci ha donato
e che dobbiamo custodire nelle sue radici cristiane. (mg)
Nel 1946, per
la prima volta in Italia le donne si avvalsero del diritto di voto e il 2 giugno furono
chiamate alle urne per scegliere tra Monarchia o Repubblica e per l’elezione dell’Assemblea
costituente: le donne votarono nella stessa percentuale degli uomini e 21 vennero
elette. Anche grazie a loro furono inseriti nella Carta diritti fondamentali e venne
introdotto l’articolo 3 che, oltre a dichiarare tutti i cittadini uguali indipendentemente
dal sesso, stabiliva che la Repubblica avrebbe dovuto agire per rimuovere gli ostacoli
che a quell’uguaglianza si frapponevano. Al microfono di Paolo Ondarza sentiamo
la storica e saggista Giulia Galeotti.
R. – Ricordare
il 2 giugno 1946 è estremamente importante, perché in quell’occasione le donne votarono
per la prima volta. Si temeva non si presentassero al voto: i giornali dell’epoca
lo sottolineavano in continuazione. Invece, se poi andiamo a consultarli, gli stessi
giornali dell’epoca pubblicavano immagini in cui sembrava che ci fossero solo donne
in fila per votare; le 21 donne che poi furono elette all’Assemblea costituente –
nove democristiane, nove comuniste, due socialiste e una donna dell’“Uomo qualunque”
di Giannini - furono veramente le donne che permisero – e questo è un obbligo morale,
da parte della Repubblica, ricordarlo – l’introduzione di quei principi costituzionali
che favorirono l’emancipazione femminile.
D. – E oggi, la parità è
stata raggiunta?
R. – Direi che da un punto di vista legislativo, tutto
sommato – anche se ci sono voluti anni, decenni – la parità, sulla carta, almeno,
è stata raggiunta. Quello che invece rimane ancora da fare è un lavoro sul piano sociale,
della mentalità. Le faccio un esempio: nel 1996, il Parlamento italiano è riuscito
a cambiare la legge sulla violenza sessuale che prima era un reato contro l’onore
e finalmente – e solo dal 1996! – è diventato invece un delitto contro la persona.
Se però noi entriamo in un’aula di tribunale e vediamo il modo in cui, ancora, la
nostra società si relaziona con la violenza sessuale ci accorgiamo di una persistente
mentalità secondo la quale le donne sono ancora ritenute inferiori e quindi il fatto
che si abusi di loro è considerato come qualcosa di socialmente giustificabile.
D.
– Persistono anche difficoltà di accesso al mondo del lavoro?
R. – Questo
è un grande problema che rimane. Penso che forse, a molte di noi sotto i 40 anni sia
successo di ricevere durante colloqui di assunzione per lavori più o meno precari,
la famosa domanda se si è sposate e intenzionate ad avere un figlio: la maternità
è ancora percepita, dai datori di lavoro, come un handicap.
D. – Una
soluzione potrebbe essere il potenziamento, ad esempio, dei congedi di paternità …
R.
– Esatto. Ma è un po’ come un cane che si morde la coda: infatti, i congedi parentali
sono legati allo stipendio e finché gli uomini continueranno a guadagnare di più,
anche a parità di mansioni, sarà difficile – per ragioni anche comprensibili – che
in una coppia sia l’uomo a decidere di rimanere a casa.
D. – Diceva
che da un punto di vista legislativo oggi, tutto sommato, c’è un’uguaglianza riconosciuta
tra uomo e donna …
R. – Le dirò di più: ci sono forse delle leggi che
sembrano tutelare quasi più le donne che gli uomini. So che entriamo in un terreno
minato: mi riferisco alla legge 194. Come noi sappiamo benissimo, questa legge non
ammette in alcun modo che l’uomo, e quindi il padre, abbia voce in capitolo. Mettiamo
tanta enfasi sul ruolo paterno però poi, quando si tratta di decidere se interrompere
o meno la gravidanza, anche laddove questa avvenga all’interno di una matrimonio,
l’uomo non è mai chiamato in causa, non ha possibilità di decidere.
D.
– Non giova sicuramente alla piena parità uomo-donna una certa ideologia che, purtroppo,
ha accompagnato il processo di emancipazione femminile …
R. – Questo,
sicuramente, è vero. Abbiamo creduto che, per emanciparci, dovessimo in qualche modo
diventare molto simili agli uomini – quasi uguali agli uomini. E di questo, secondo
me, oggi stiamo pagando le conseguenze. Aver diritto all’uguaglianza, alla parità
non significa fingere che le differenze non esistano: perché le differenze ci sono
ed è anche un bene che ci siano. Sono un valore, sicuramente, non un disvalore. (gf)