L'arma dello stupro nei conflitti in Africa, crimine odioso e spesso impunito. Ne
parla il libro-denuncia di Pauline Aweto
Un’analisi sulle cause e le responsabilità delle violenze subite dalle donne africane
in situazioni di guerra. È la denuncia del volume “Wartime Rape: African values at
Crossroads”, della dottoressa Pauline Aweto, presentato ieri nella sede della nostra
emittente. Il libro, in lingua inglese, sarà disponibile in cambio di un’offerta
libera presso la Libreria leonina a Roma. Il servizio di Michele Raviart:
In situazioni
di conflitto, il tessuto sociale viene lacerato e a fare le spese delle violenze sono
le fasce sociali più esposte. L’Africa non fa eccezione, come viene messo in evidenza
in questo studio sull’uso sistematico della violenza sessuale sulle donne in tempo
di guerra. Un fenomeno diffuso e sostanzialmente impunito, che ha raggiunto il suo
apice durante il genocidio in Rwanda, con oltre duecentomila casi di stupro accertati.
La dottoressa Pauline Aweto, autrice del volume:
“In
tutte le culture c’è stato sempre lo stupro come arma di guerra. Quello africano diventa
una cosa molto più pensante, perché ci sono degli elementi che rendono ancora più
difficile l’esperienza delle donne stuprate durante la guerra: il livello della brutalità.
Le donne vengono violentate in pubblico. Poi c’è anche l’aspetto delle donne incinta,
il voler trasmettere l’Hiv attraverso i soldati già contagiati. Il modo di fare africano
è molto diverso rispetto a quello degli altri”.
Ad essere messi sotto
accusa sono i governi africani, che chiudono gli occhi sulle violenze perpetrate dai
loro soldati e condannano solo formalmente comportamenti diffusi tra le mura domestiche
anche in tempo di pace. Governi deboli e scarsamente rappresentativi, come ci spiega
il parlamentare Jean-Léonard Touad:
“Perché i governi
africani non si recano al Consiglio di sicurezza? Il Consiglio non analizza la questione
dello stupro delle donne, per lo stesso motivo per il quale non c’è un solo pronunciamento
dell’Unione Africana sul Mediterraneo, che diventa un gigantesco cimitero a cielo
aperto. C’è una tale autoreferenzialità, oggi, della politica africana, tutta intenta
a giocare il ruolo di intermediario tra i suoi territori e gli interessi esterni.
C’è un grande corto circuito tra politica e popolazione”.
Ed è proprio
alla popolazione che questo studio si rivolge, perché la cessazione delle violenze
sessuali sistematiche non può prescindere dalla consapevolezza dei propri diritti
da parte delle donne africane.