2011-05-31 14:52:26

L'arma dello stupro nei conflitti in Africa, crimine odioso e spesso impunito. Ne parla il libro-denuncia di Pauline Aweto


Un’analisi sulle cause e le responsabilità delle violenze subite dalle donne africane in situazioni di guerra. È la denuncia del volume “Wartime Rape: African values at Crossroads”, della dottoressa Pauline Aweto, presentato ieri nella sede della nostra emittente. Il libro, in lingua inglese, sarà disponibile in cambio di un’offerta libera presso la Libreria leonina a Roma. Il servizio di Michele Raviart:RealAudioMP3

In situazioni di conflitto, il tessuto sociale viene lacerato e a fare le spese delle violenze sono le fasce sociali più esposte. L’Africa non fa eccezione, come viene messo in evidenza in questo studio sull’uso sistematico della violenza sessuale sulle donne in tempo di guerra. Un fenomeno diffuso e sostanzialmente impunito, che ha raggiunto il suo apice durante il genocidio in Rwanda, con oltre duecentomila casi di stupro accertati. La dottoressa Pauline Aweto, autrice del volume:

“In tutte le culture c’è stato sempre lo stupro come arma di guerra. Quello africano diventa una cosa molto più pensante, perché ci sono degli elementi che rendono ancora più difficile l’esperienza delle donne stuprate durante la guerra: il livello della brutalità. Le donne vengono violentate in pubblico. Poi c’è anche l’aspetto delle donne incinta, il voler trasmettere l’Hiv attraverso i soldati già contagiati. Il modo di fare africano è molto diverso rispetto a quello degli altri”.

Ad essere messi sotto accusa sono i governi africani, che chiudono gli occhi sulle violenze perpetrate dai loro soldati e condannano solo formalmente comportamenti diffusi tra le mura domestiche anche in tempo di pace. Governi deboli e scarsamente rappresentativi, come ci spiega il parlamentare Jean-Léonard Touad:

“Perché i governi africani non si recano al Consiglio di sicurezza? Il Consiglio non analizza la questione dello stupro delle donne, per lo stesso motivo per il quale non c’è un solo pronunciamento dell’Unione Africana sul Mediterraneo, che diventa un gigantesco cimitero a cielo aperto. C’è una tale autoreferenzialità, oggi, della politica africana, tutta intenta a giocare il ruolo di intermediario tra i suoi territori e gli interessi esterni. C’è un grande corto circuito tra politica e popolazione”.

Ed è proprio alla popolazione che questo studio si rivolge, perché la cessazione delle violenze sessuali sistematiche non può prescindere dalla consapevolezza dei propri diritti da parte delle donne africane.







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