Serbia: per il tribunale di Belgrado Ratko Mladic è trasferibile all'Aja
Per il Tribunale speciale di Belgrado, Ratko Mladic, l’ex capo militare dei serbi
di Bosnia arrestato ieri in Serbia, è nelle condizioni per essere trasferito al Tribunale
penale internazionale dell'Aja. Il tribunale internazionale dell'Aja accusa l’ex generale
di genocidio, persecuzioni politiche, religiose e razziali, sterminio, omicidio e
deportazioni, attacchi a civili e presa di ostaggi. La procedura per l'estradizione
all'Aja potrebbe durare anche due settimane. Per un commento sull’arresto di Mladic,
Cecilia Seppia ha sentito Fulvio Scaglione, vice direttore di Famiglia
Cristiana:
R. – Io credo
che l’arresto di Mladic possa essere in qualche modo - e fatte le dovute proporzioni
- equiparato all’eliminazione di Osama Bin Laden. Non si può restare per 15 anni o
più latitanti e con una latitanza piuttosto vistosa, perché si tratta comunque di
personaggi che non sono difficili da notare, senza avere delle coperture politiche
e nel caso di Mladic anche militari: probabilmente gli ambienti militari serbi si
sono incaricati di proteggerlo a lungo. Per la Serbia questa latitanza era diventata
veramente imbarazzante e soprattutto alla luce delle ambizioni serbe di entrare in
Europa.
D. – A questo proposito il presidente serbo Tadic ha dichiarato:
“Penso che ora la porte dell’Europa si apriranno” e ha voluto sottolineare l’ingresso
della Serbia comunque in una nuova fase. Quali sono gli scenari possibili?
R.
– L’Unione Europea e le istituzioni internazionali hanno sempre chiesto alla Serbia
di garantire la massima collaborazione nella cattura di criminali di guerra ancora
latitanti. Certamente adesso che questa cattura è avvenuta la Serbia può in qualche
modo passare all’incasso o comunque chiedere che i suoi sforzi vengano riconosciuti.
Credo che, comunque, la Serbia avesse fatto grossi sforzi anche per digerire l’indipendenza
del Kosovo proprio in quest’ottica. Chiaramente la Serbia, la nuova Serbia, la Serbia
di questi tempi ha mollato l’aggancio con Mosca e cerca, con molta voglia ed anche
ormai con un filo di disperazione, di procurarsi un aggancio con Bruxelles.
D.
– Ecco, si può parlare del raggiungimento di una maturità democratica della Serbia?
R.
– Certamente sono passi importanti, sono passi significativi e non tanto perché a
questo punto è stato catturato Mladic, ma perché la cattura di Mladic dimostra che
probabilmente anche il presidente e il governo della Serbia hanno una presa maggiore
sia sugli ambienti politici oltranzisti, sia sugli ambienti militari, che sono anche
politici e che per Mladic e per le sue azioni hanno sempre avuto un occhio di riguardo.
A questo punto, probabilmente, la cattura di Mladic significa che le autorità attuali
della Serbia si sentono più sicure del proprio potere. (mg)
In Serbia sono
ancora profonde le ferite causate dalla guerra. E’ quanto sottolinea, al microfono
di Giada Aquilino, mons. Ladislav Nemet, vescovo ungherese a capo della
diocesi di Zrenjanin, città nel nord della Serbia a pochi chilometri di distanza dalla
località dove ieri è stato arrestato Ratko Mladic:
R. - Ci sono
ancora molte ferite aperte; ci sono ancora molte persone che non sono state trovate;
ci sono famiglie distrutte. Molti serbi che vivono nella mia diocesi sono venuti dopo
il ’95: hanno lasciato la Bosnia ed hanno trovato un nuovo posto dove iniziare una
nuova vita, ma sono ancora amareggiati perché non possono tornare. Quindi, le ferite
sono ancora grandi. Per alcuni il generale Mladic è ancora il più grande eroe serbo.
Naturalmente si tratta soltanto di una minoranza: la giovane generazione, quella nata
dopo la guerra, quella che ha già vissuto un’esperienza di Europa, pensa in modo diverso
ed è certamente più aperta. Il problema in Serbia è la grande povertà, ma anche il
potere di alcuni gruppi, che sono ancora radicati nel nazionalismo e nello sciovinismo.
D. - Proprio in relazione a questi gruppi, ma anche alle divisioni
che ci sono state, esistono ancora oggi queste divisioni?
R. - Senz’altro,
esistono a livello politico, anche se ci sono buone relazioni fra Paesi come la Bosnia-Erzegovina,
la Slovenia, la Croazia e la Serbia. Ci sono, però, tantissime domande che non hanno
ancora avuto risposta e c’è il problema relativo ai beni culturali, rubati durante
la guerra. Il segno della speranza è rappresentato dalla giovane generazione che vorrebbe
riuscire a chiudere questo capitolo e aprirsi allo sviluppo, ad una cultura più aperta.
La Jugoslavia, prima della guerra, era un Paese più aperto ai valori europei. Adesso
sentiamo nuovamente questo bisogno, tra i giovani, di aprirsi di più alla cultura
europea. Speriamo che ora anche l’arresto del generale Mladic ci aiuti ad arrivare
ad una riconciliazione veramente sincera. (mg)