Arrestato il generale serbo Mladic, super ricercato per genocidio e crimini di guerra
È stato arrestato Mladic, l'ex capo militare dei serbi di Bosnia ricercato per genocidio
e crimini contro l'umanità. Nessun dettaglio è stato fornito sull'operazione, ma il
presidente della Serbia Tadic sottolinea che l'arresto di Mladic “segna la fine di
un periodo difficile della storia del Paese” e conferma “la collaborazione” di Belgrado
con il Tribunale dell'Aja. Da parte sua l'Alto rappresentante Ue per la politica Estera
e di Sicurezza, Catherine Ashton, afferma che l’arresto di Mladic è ''un importante
passo in avanti per la Serbia e per la giustizia internazionale''. Secondo la tv pubblica
serba Rts, Ratko Mladic sarebbe già in viaggio verso l’Aja. Il servizio di Fausta
Speranza:
Il
super ricercato dal Tribunale penale internazionale per l’ex Jugoslavia è stato fermato
a 80 Km dalla capitale Belgrado. Dopo 15 anni di latitanza e diversi anni di braccio
di ferro tra la Serbia e l’Ue che aveva posto come condizione per i negoziati in corso
la cattura dell’ex capo militare. Mladic è accusato di genocidio, cimini contro
l'umanità, violazione delle leggi di guerra. Quando esplode la guerra con la
Croazia nel 1991, Mladic con il grado di colonnello assume il comando delle unità
dell'esercito federale jugoslavo a Knin, che diventerà di lì a poco la capitale dei
secessionisti serbi di Croazia. Di quel periodo si ricordano i pesanti bombardamenti
che Mladic ordinò su Zara dalla montagna che sovrasta la città, tattica che verrà
drammaticamente "perfezionata" con gli assedi di Sarajevo, Gorazde, Bihac, Srebrenica
nella successiva guerra in Bosnia. Mladic diventa poi infatti il comandante dell'esercito
dell'autoproclamata Repubblica Serba di Bosnia. I suoi uomini attuano una brutale
pulizia etnica (due milioni e mezzo di persone cacciate dalle loro terre e dalle loro
case) in nome della Grande Serbia. Con lui tornano in Europa i campi di concentramento
nei quali migliaia di prigionieri vengono torturati e uccisi. I suoi uomini praticano
lo stupro etnico come arma di guerra. Contro Mladic, così come contro l'ex presidente
serbo-bosniaco Karadzic, catturato nel 2008, il Tribunale penale delle Nazioni unite
(Tpi) formalizza, nel luglio e nel novembre 1995, due atti di accusa per genocidio
e crimini contro l'umanità e un mandato di cattura. Mladic, 69 anni, era fino ad oggi
uno dei due ultimi criminali di guerra serbi ancora latitanti. L'altro è Goran Hadzic,
ex capo politico dei serbi di Croazia.
Ancora contestazioni e dura repressione
in Yemen Decine di morti in Yemen per la brutale repressione attuata dall’esercito
contro i manifestanti che chiedono le dimissioni del presidente Saleh. Il bilancio
provvisorio si attesta ad oltre 50 morti, ma i disordini non si fermano nella capitale
Sanaa e la gravità della situazione ha spinto il governo statunitense ad emanare un
ordine di evacuazione per il proprio personale diplomatico. Il servizio di Giada
Aquilino:
Da lunedì
le forze di sicurezza fedeli a Saleh, che rifiuta di dimettersi malgrado gli appelli
della comunità internazionale, stanno assediando la residenza dello sceicco Sadiq
al-Ahmar, capo della tribù degli Hashed e dell'opposizione. Secondo l'ultimo bilancio,
sarebbero in tutto almeno 68 le vittime dei combattimenti dall'inizio degli scontri.
Ci sarebbero inoltre almeno 24 vittime negli scontri di questa notte a Sanaa tra i
soldati dell'esercito, fedeli al presidente Ali Abdullah Saleh, e i miliziani della
tribù dello sceicco. Mentre l'esplosione di un arsenale nella capitale yemenita ha
causato 28 morti. Intanto, con una decisione che rispecchia la crescita della tensione
nello Yemen, gli Stati Uniti hanno deciso di evacuare le famiglie del personale diplomatico
Usa e tutti gli impiegati non indispensabili della sede diplomatica. Ieri il presidente
americano Barack Obama da Londra aveva chiesto al presidente yemenita, Ali Abdallah
Saleh, di lasciare il potere. Un’ipotesi che Saleh continua a respingere con fermezza.
I
Paesi Ue fanno appello all’Onu sul caso Siria Quattro Paesi europei fanno appello
all’Onu sul caso Siria: hanno presentato al Consiglio di Sicurezza una bozza di risoluzione
per chiedere al governo di Bashar el-Assad la fine delle violenze contro i manifestanti
che, da oltre due mesi, protestano nelle piazze. Il servizio di Davide Maggiore:
Nella bozza,
secondo quanto riporta l’agenzia Reuters, si condannano le violazioni sistematiche
dei diritti umani da parte del governo di Damasco contro manifestanti pacifici, attivisti
e giornalisti. Le accuse includono “uccisioni, detenzioni arbitrarie, sparizioni e
torture”. Il documento è stato presentato al Consiglio di Sicurezza dai quattro Stati
europei che ne fanno parte: Gran Bretagna, Francia, Germania e Portogallo. Gli analisti
temono tuttavia che la Russia, membro permanente del Consiglio, possa bloccare la
risoluzione opponendo il veto: nelle scorse settimane il presidente Medvedev aveva
fatto sapere che Mosca non avrebbe appoggiato, contro la Siria, una risoluzione simile
a quella applicata contro la Libia. Intanto ieri Assad si è visto confermare il sostegno
del partito sciita libanese Hezbollah, suo alleato storico. Il leader del movimento
Hassan Nasrallah, si è dichiarato fedele alla sicurezza “della Siria, del suo regime
e del suo popolo”. Da parte loro i dissidenti hanno annunciato nuove manifestazioni,
e il sito Syrian Revolution ha chiesto all’esercito, finora fedele al regime, di unirsi
alle proteste. Secondo le organizzazioni locali per i diritti umani sono oltre 1000
i morti dall’inizio della crisi, in massima parte civili.
Lettera del
premier libico per negoziare un cessate il fuoco in Libia con Onu e Usa Il
primo ministro libico al-Baghdadi al Mahmoudi sembra abbia offerto, in una lettera
che verrà inviata a vari leader stranieri, un cessate il fuoco immediato sotto vigilanza
Onu e Usa, colloqui senza condizioni con i ribelli, amnistia per entrambe le parti
del conflitto e una nuova Costituzione. Nella lettera, ottenuta dall'Independent,
non viene fatta parola del ruolo del rais nel futuro del Paese. Il presidente dell'Unione
europea, Herman Van Rompuy, in margine al G8, sottolinea che la posizione della Ue
sulla situazione in Libia è chiara e non cambia: “Gheddafi se ne deve andare via”.
Da parte sua, l’Unione Africana chiede oggi alla Nato di cessare i bombardamenti in
Libia.
Bomba esplode a Istanbul in piena campagna elettorale: due feriti
gravi Una bomba è esplosa questa mattina a Istanbul, in Turchia. La polizia
aveva inizialmente parlato di un morto: la notizia non è poi stata confermata, ma
ora sembra che due dei sette feriti (otto secondo la televisione Ntv) siano in condizioni
gravi. L’ordigno è esploso nelle vicinanze di un’accademia di polizia, ma le forze
dell’ordine non hanno voluto rilasciare commenti sulla matrice dell’attentato, che
non è stato rivendicato. La Turchia è in piena campagna elettorale per le elezioni
parlamentari del prossimo 12 giugno, e nelle scorse settimane i separatisti curdi
avevano attaccato la scorta di alcuni politici del partito di governo, mentre una
bomba artigianale era stata ritrovata due giorni fa nel sud-est, area a maggioranza
curda. Il premier Erdogan, ieri, aveva evocato legami tra sospetti militari golpisti,
separatisti curdi e il principale partito d’opposizione.
Ancora manifestazioni
contro il piano di austerity in Grecia Sono oltre 20 mila, secondo la stampa
locale, i greci scesi in piazza ieri contro le ultime misure anticrisi decise dal
governo. I manifestanti hanno dato vita a una protesta pacifica, sull’esempio degli
‘indignados’ spagnoli accampati alla Puerta del Sol di Madrid. Sempre ieri, la commissaria
europea greca Maria Damanakis aveva fatto sapere che “lo scenario di un’uscita della
Grecia dall’euro” era “ormai sul tavolo”, ma era stata smentita dal ministro delle
Finanze George Papacostantinou. Ancora oggi, però, da Copenhagen, l’economista premio
nobel Paul Krugman ha detto di considerare “del 50%” la possibilità che Atene torni
alla dracma, ed “estremamente improbabile” che il Paese possa ripagare i suoi debiti.
In Georgia secondo giorno di manifestazioni contro il presidente Due
persone sono morte ieri sera a Tbilisi quando la polizia ha disperso la manifestazione
dell'opposizione contro il presidente georgiano Saakashvili. Le vittime sono un poliziotto
e un ex agente della polizia, che sarebbero stati investiti da un'auto, a bordo della
quale si trovava uno degli organizzatori della manifestazione. Ieri per il quinto
giorno consecutivo nella capitale georgiana circa 5mila manifestanti sono scesi in
piazza per chiedere le dimissioni di Saakashvili.
Ancora guerra tra bande
in Messico: 28 morti È di almeno 28 morti il bilancio degli scontri tra bande
rivali di narcotrafficanti nello Stato di Nayarit, nel Messico occidentale. Lo riferiscono
fonti giudiziarie. (Panoramica internazionale a cura di Fausta Speranza)
Bollettino
del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 146