Dramma Darfur: 75 bambini muoiono ogni giorno nei campi profughi
Settantacinque bambini muoiono ogni giorno nei campi profughi del Darfur. Lo denuncia
l’associazione Italians for Darfur, attiva nella promozione dei diritti umani nel
Paese. Sono un milione e ottocentomila le persone nei centri di accoglienza del Paese
dilaniato da otto anni di guerra civile. Al microfono di Irene Pugliese,Antonella
Napoli, presidente dell’onlus:
R. – Nei
campi la vita è al limite della sopravvivenza. Ogni giorno - come da dati suffragati
anche dall’Unicef - muoiono 75 bambini sotto i 5 anni e per lo più per infezioni o
malattie che – diciamo – sarebbero facilmente prevenibili. Inoltre le condizioni non
solo igienico-sanitarie, ma anche di sicurezza nei campi sono blande e in particolare
il settore sanitario è quasi inesistente: basti pensare che in un campo come Zamzam,
che ospita oltre 100 mila sfollati, ci sono soltanto due ambulatori, che alle 17.00
interrompono le attività. Anche la situazione idrica e, appunto, igienica – per non
parlare poi dell’aspetto educativo – sono praticamente inesistenti.
D.
– Qual è l’atteggiamento internazionale verso questa situazione?
R.
– Nel momento in cui si parla di crisi umanitaria, c’è un grande sforzo della cooperazione,
anche se ci sono stati grandi errori da parte della cooperazione internazionale, perché
una crisi che si protrae così a lungo e che si incancrenisce vuole dire che è una
crisi mal gestita. Inoltre essendosi dispiegata una missione di pace, una missione
di peacekeeping Onu e Unione Africana, questa missione dovrebbe garantire sicurezza
ai civili del Darfur: purtroppo, però, non riesce a garantire spesso neanche sicurezza
a se stessa! Basti pensare che da quando è stata dispiegata, almeno 54 caschi blu
sono stati uccisi…
D. – Cos’è che non funziona? Quali sono gli ostacoli
alla risoluzione di questo conflitto?
R. – Dal momento in cui non c’è
una forte pressione da parte della Comunità internazionale affinché si ponga fine
ad un continuo intervento militare per sradicare le postazioni dei ribelli, è chiaro
che non si riesce a raggiungere una fine.
D. – Il vento della rivoluzione
che ha scosso il Nord Africa, secondo lei, quanto può influenzare la situazione in
questa regione?
R. – C’è stata ed è arrivata anche in Sudan l’ondata
delle rivolte nordafricane, soltanto che a Khartoum, in Sudan, vengono preventivamente
frenate. Quindi c’è grande tensione, grande terrore, ma la voglia di ribellarsi è
tanta ed è forte. (mg)