Il 30 maggio, convegno al Policlinico Gemelli sui disturbi da ADHD che colpisce il
3% dei bambini
Si conclude stasera un convegno sulle Nuove prospettive nell’ADHD, Attention Deficit
Hyperactivity Disorder, cioè "Disturbo da deficit di attenzione, iperattività
e impulsività". L’incontro è promosso dalla Sinpia, la Società Italiana di Neuropsichiatria
dell’Infanzia e dell’Adolescenza, e avrà luogo presso l’Aula Brasca del Gemelli. Saranno
presenti i Gruppi di Studio Sinpia dell’Università di Tor Vergata, il Policlinico
Universitario Agostino Gemelli, l’Università degli Studi de L’Aquila, l’Azienda Sanitaria
Roma B e l’Ospedale Sandro Pertini. Eliana Astorri ha domandato alla prof.ssa
Maria Giulia Torrioli, associato di neuropsichiatria infantile del Policlinico
Universitario Agostino Gemelli di Roma, in cosa consista questo disturbo e come sia
possibile curarlo:
R. – Le caratteristiche
di questo disturbo sono una iperattività, cioè una difficoltà del bambino a rimanere
fermo a lungo, alla quale si unisce una impulsività: sono bambini che agiscono prima
di aver pensato. Inoltre, a ciò si aggiunge una distraibilità: non sono bambini che
non riescono a concentrarsi, ma che non riescono a mantenere a lungo la concentrazione.
Sono spesso anche bambini molto intelligenti e brillanti - non sempre naturalmente
- e molto intuitivi: si rendono conto in pochi secondi di tutto quello che li circonda
e proprio perché non c’è un filtro nella loro attenzione prestano attenzione a tutto
e quindi non riescono a concentrarsi su una determinata cosa. Questo, ovviamente,
nei compiti scolastici è fonte di grandi difficoltà. Per fare una diagnosi di ADHD
è indispensabile che, oltre a esserci questi comportamenti, vi sia un disagio nel
bambino e nell’ambiente che lo circonda.
D. – Quindi una diagnosi si
basa su questo tipo di comportamenti quando è portato all’eccesso?
R.
– All’eccesso e a un disagio. Sono bambini che nessuno vuole a casa propria, che spesso
neanche i nonni sopportano. Sono bambini che non vengono invitati alle feste. Non
sto parlando di un disturbo lieve, ma di qualcosa che incide pesantemente sulla qualità
di vita del bambino.
D. – Si è a conoscenza delle cause che provocano
questo disturbo?
R. – Parzialmente. Sappiamo che sono cause biologiche
e che ci si nasce, anche se qualche volta può essere una problematica acquisita. Oltre
che essere da danno neurologico, molto spesso è genetico: il 40 per cento dei genitori
dei bambini ADHD è stato a sua volta un ADHD, più o meno riconosciuto. Si sa che ci
sono differenze maturative - e alle volte non solo maturative - nello sviluppo di
alcune particolari aree del cervello.
D. – Una volta emessa la diagnosi
cosa si fa, come si cura il bambino?
R. – La prima cosa da fare è spiegare
al bambino e alla famiglia che cosa sta succedendo. Questo primo tipo di intervento
è spesso molto utile, perché se il bambino si rende conto che non è cattivo - se io
posso spiegare alla maestra che probabilmente basta lasciar fare al bambino un giretto
ogni ora perché lui si comporti meglio, posso avere già ottimi risultati. Se questo
non è sufficiente a ridurre in maniera importante il disagio che il bambino lamenta,
c’è un altro tipo di intervento, sempre non farmacologico, che può essere fatto e
che è un intervento cognitivo comportamentale: cioè, si cerca di aiutare il bambino
a controllare la sua impulsività e a migliorare i tempi di attenzione. Se anche tutto
questo non è sufficiente, allora si ricorre ai farmaci. Invece, per trattare le complicanze
dell’ADHD - nel senso che ci possono essere disturbi specifici di apprendimento, disturbo
oppositivo-provocatorio, sono diversi - l’intervento dovrà essere sia sui sintomi
cardine dell’ADHD, con un intervento farmacologico o non farmacologico, sia sulla
comorbidità, quindi con un intervento riabilitativo o psicoterapico, a seconda di
quale sia il problema che ogni bambino presenta. (bf)