A Roma il convegno promosso da AFGANA, network che lavora per la ricostruzione civile
dell'Afghanistan
Rafforzare il ruolo della società civile afghana nel processo di normalizzazione politica
e ottenere che la sua voce sia maggiormente ascoltata dal governo di Hamid Karzai.
Sono gli obiettivi che hanno motivato la creazione di "AFGANA", un coordinamento di
organizzazioni italiane impegnate sul fronte della promozione della pace nella regione,
accanto alle associazioni locali. Questo network di attivisti italiani e afghani si
riunisce oggi e domani a Roma, per ricordare alla comunità internazionale che i bisogni
della popolazione afghana non possono essere trascurati, specialmente in questa fase
caratterizzata dal ritiro delle truppe dell’alleanza atlantica. Al microfono di Silvia
Koch, Mohammad Afzal Shurmach Nooristani, avvocato e membro della Legal
Aid Organisation of Afghanistan, una lega attiva in difesa della legge, parla dell'Afghanistan
di oggi e della guerra che dal 2001 destabilizza il Paese:
R. – This
is not an afghan war: it’s a war between good and evil… Questa guerra non
è una guerra afghana: è una guerra del bene contro il male, anche perché i gruppi
terroristici, che minacciano la sicurezza dei cittadini, hanno spesso dei legami all’esterno
del Paese e sono connessi alle reti di trafficanti di droga e ai “signori della guerra”.
La presenza internazionale in Afghanistan, secondo me, è stata molto utile e si può
vedere dalla crescita registrata in alcuni settori: il settore giudiziario, quello
dei media, quello della difesa dei diritti umani e dell’istruzione, ma anche per quanto
riguarda la costruzione delle infrastrutture. Certo, la questione della sicurezza
rimane una sfida importante e non penso che l’Afghanistan sia ancora in grado di affrontarla
da solo, soprattutto perché le organizzazioni terroristiche, che minacciano il Paese,
sono legate sia a Paesi che a network fondamentalisti radicati fuori dall’Afghanistan.
D. – Ritiro delle truppe internazionali ed una apertura al dialogo
con i talebani: questi due elementi hanno caratterizzato nell’ultimo anno la normalizzazione
politica in Afghanistan. La società civile come percepisce questi due interventi? R. – Talibans never accepted any offers from the international… I
talebani non hanno mai accettato alcuna offerta arrivata dalla comunità internazionale,
né alcuna offerta arrivata dal governo dell’Afghanistan. E’ certamente un desiderio
per tutti gli afghani che i talebani possano decidere di unirsi al processo di pace,
ma al Qaeda non è radicata soltanto in Afghanistan: per cui è un po’ complicato attualmente
per l’Afghanistan riuscire da solo ad avere ragione di nemici così forti.
D.
– La società civile afghana cosa chiede alla comunità internazionale, nell’ottica
di un accompagnamento del Paese alla normalizzazione politica?
R. –
We ask that the international community would encourage the government… Chiediamo
alla comunità internazionale che faccia pressione sul governo afghano, perché ascolti
le richieste e le proposte delle organizzazioni della società civile e perché queste
possano diventare parte integrante ed essenziale del processo di decisione politica.
Se ci si concentra soltanto sulla questione militare non si arriverà ad alcuna soluzione
rapida: al contrario occorre enfasi sugli aspetti legali, culturali e sociali della
ricostruzione in modo da poter consentire ai cittadini dell’Afghanistan di sperare
in un futuro migliore per il Paese e per la propria vita. (mg)