Nuove tensioni in Sudan: a rischio una nuova guerra tra Nord e Sud
La tensione è tornata a salire tra il Nord e il Sud Sudan a poche settimane dalla
dichiarazione di indipendenza da parte del Sud, in seguito al referendum del 9 gennaio
scorso. Le capitali Khartoum e Jouba si trovano ora a un passo da un nuovo conflitto
a causa dell’invasione da parte dell’esercito del Nord Sudan della regione petrolifera
contesa dell’Abyei. Un'azione che il Sud Sudan ha condannato come una Dichiarazione
di guerra, invocando l’intervento della comunità internazionale. Immediata la condanna
da parte dell’Onu e dell’Unione europea che chiedono la cessazione delle violenze
nell’area contesa, violenze che mettono a rischio la vita di migliaia di persone.
Sulla crisi in atto, Stefano Leszczynski ha intervistato Davide Berruti,
coordinatore dell’Ong "Intersos" in Sud Sudan.
R. – Probabilmente
non ci si aspettava un’iniziativa così aggressiva da parte del Nord, anche se c’erano
i segnali. Le tensioni nelle regioni di Abyei e in quelle immediatamente
vicine, come nel Jonglei, si sono fatte sentire in maniera abbastanza forte nelle
settimane scorse. Sono sicuramente in aumento, ma non ci spettavamo questo tipo di
reazione.
D. – Anche perché le emergenze relative al conflitto di una
guerriglia per il momento possono avere ricadute veramente pesanti e pericolose per
migliaia di persone in quell’area...
R. – Assolutamente sì. Nel Jonglei,
la regione dove siamo presenti, nelle scorse settimane sono aumentati a dismisura
gli attacchi tra le diverse fazioni, tra i gruppi etnici, che è un problema annoso
del Sud Sudan. Man mano che ci avviciniamo al 9 luglio, giorno dell’indipendenza,
la tensione cresce. Il numero di persone vittime di queste violenze attualmente sono
ancora contenuti, ma non possiamo conoscerli.
D. – La questione centrale
è, comunque, quella del controllo delle risorse petrolifere...
R. –
Assolutamente! D’altra parte, se non fosse così l'Abyei sarebbe una
regione come tutte le altre, rientrata nel Cpa con uno status già definito. Se non
lo è, è proprio perché è la regione che interessa più di tutte. Quindi, dubito che
il Nord se la faccia portar via.
D. – Possiamo dire che, vista la situazione
in quell’area, gli accordi di pace sono un qualcosa a cui rimanere "aggrappati con
le unghie e con i denti" per evitare il caos...
R. – Assolutamente sì.
Anche nel nostro lavoro, che facciamo con la popolazione, con i rifugiati, con gli
sfollati e le popolazioni locali, con le nostre associazioni partner e le comunità
con cui operiamo, sicuramente quello della pace è un valore aggiunto, che è sempre
presente in ogni nostra azione, e nel sopperire alle necessità primarie della popolazione,
cerchiamo di trasmettere questo valore in ogni maniera, in ogni parola e in ogni nostro
gesto. (ap)