Si rincorrono conferme e smentite sulla morte del mullah Omar, guida spirituale dei
talebani afghani. Secondo fonti di stampa locali, l’uomo sarebbe stato ucciso due
giorni fa in Pakistan mentre si trasferiva da Quetta verso il Waziristan settentrionale.
Per ora non ci sono conferme ufficiali mentre i talebani smentiscono la notizia. Massimiliano
Menichetti ne ha parlato con l’analista di strategia militare Alessandro Politi
R. – Anche
ammettendo che … sia stato ucciso, questo cambia poco perché in realtà c’è già un
suo successore, che si chiama Mullah Abdul Kayum Sakir, che sta operando
nel Baluchistan, quindi nella zona di Quetta, e che si sta facendo crescere proprio
come leader di spicco. Con grande probabilità, questo sarebbe il suo successore per
l’ala “militare” dei talebani. Per quello che riguarda le dinamiche afghane, dunque,
la sua morte avrebbe un’importanza relativa; quello che alla fine conterà sarà la
credibilità del governo Kharzai dal punto di vista – per esempio – della corruzione,
che rappresenta un problema molto grave, e la capacità di fare la pace con una serie
di famiglie pashtun che oggi sono ribelli.
D. – La morte di Osama Bin
Laden, adesso la morte annunciata – tutta da verificare – del Mullah Omar sta cambiando
in qualche modo la guerra al terrore?
R. – Non c’è più la guerra globale
al terrore, perché l’amministrazione non è più quella repubblicana di George Walter
Bush; c’è una lotta anti-terrorista che può assumere tanto forme militari quando si
è, appunto, in zona di operazioni, quanto invece, più correntemente, forme di intelligence
… Questo è un “cambiamento” che è iniziato da parte americana. Da parte dei terroristi,
invece, è assolutamente chiaro che c’è un marchio globale, che può essere il Jihad,
al Qaeda, ma in realtà ognuna delle formazioni regionali è sempre più chiamata a sbrigarsela
da sola. Anche perché non c’è più – e questo lo dimostra benissimo la primavera araba
– quella fascia di consenso, anche tacito, che prima poteva far pensare ad al Qaeda
di cavalcare un’onda di consenso nel mondo islamico e arabo. Insomma, le stesse opinioni
pubbliche hanno capito che il terrorismo è un vicolo cieco.
D. – Ma
quindi, in sostanza, non c’è più quella rete, quel coordinamento tra le varie cellule
di al Qaeda, come si diceva qualche anno fa?
R. – Che ci siano tentativi
di dare un’ispirazione comune, qualche volta anche una direttiva comune, a queste
varie realtà, molte delle quali sono auto-costruite e quindi in realtà non sono nemmeno
passate per i campi di addestramento pakistani o afghani, è vero; ma dire che ci sia
una vera e propria rete coerente e forte, direi che è esagerato. Quindi, è possibile
che ci siano ancora attentati, anche per vendicare la morte di questi capi terroristici;
però, sono attentati senza un futuro politico. (gf)