Obama sul Medio Oriente: Israele torni ai confini del 1967, gelo di Netanyahu e Hamas
C’è attesa negli Stati Uniti per il faccia a faccia tra il presidente Obama e il premier
israeliano Netanyahu. L’incontro arriva all’indomani del discorso sul rilancio del
processo di pace in Medio Oriente pronunciato ieri dal Capo della Casa Bianca, che
ha anche annunciato un piano di sostegno economico in favore dei Paesi rivoluzionari
del Nord Africa. In queste ore si moltiplicano le reazioni da parte di molte cancellerie.
Il servizio di Eugenio Bonanata:
Le parole
di Obama fissano i paletti della politica estera americana e fanno discutere. Il suo
piano prevede sostegno finanziario a favore delle economie e delle democrazie dei
Paesi ‘rivoluzionari’ del Nord-Africa, a cominciare da Egitto e Tunisia. Previsto
il coinvolgimento del prossimo G8 e dell’Europa, un fondo di investimento, partnership
commerciali, prestiti per un miliardo di dollari al Cairo che beneficerà anche della
cancellazione del debito per un altro miliardo di dollari. Obama ha previsto che altri
leader lasceranno il potere nell’area. Una previsione “delirante”, ha risposto il
regime libico. La Siria ritiene invece “arrogante” l’invito di porre fine alla repressione
e di aprire le porte alla democrazia. Ma è il rilancio del processo di pace tra israeliani
e palestinesi ad occupare un posto preminente. Per Obama, l’unica soluzione è quella
di due popoli-due Stati, che però dovranno vivere entro i confini del 1967. Questo
per Israele significa abbandonare la Cisgiordania. Netanyahu, pur apprezzando lo sforzo
per la pace, arriva alla Casa Bianca con una netta bocciatura della proposta. Il presidente
dell’Autorità nazionale palestinese, Abu Mazen, ha convocato una riunione d’urgenza,
ma ha lamentato lo scarso peso dato alla questione degli insediamenti. I fondamentalisti
di Hamas, invece, hanno rifiutato il riconoscimento dello Stato israeliano prendendo
nuovamente le distanze dalla politica di Obama. Di opinione diversa molti Paesi europei,
come Germania, Gran Bretagna e Italia, che hanno espresso pieno appoggio alla linea
dell’amministrazione americana.
Obama è stato il primo presidente americano
a proporre esplicitamente ad Israele un ritiro entro i confini del 1967. Il premier
dello Stato ebraico, Netanyahu, ha rifiutato l’ipotesi richiamando una lettera con
rassicurazioni a riguardo inviata dall’amministrazione Bush al suo Paese nel 2004.
Sui possibili esiti dell’incontro odierno tra Obama e Netanyahu, Eugenio Bonanata
ha intervistato Marcella Emiliani, docente di storia e istituzioni del Medio
Oriente all’Università di Bologna-Forlì:
R. - Obama
auspica un ritorno ai confini del ’67, però, ci potranno essere compensazioni territoriali.
Cosa voglia dire compensazioni territoriali in questo contesto estremamente vago è
altrettanto vago, però è vero che è stato infranto un tabù e quindi Netanyahu si batterà
come un leone per difendere la presenza israeliana in Cisgiordania e in generale nei
Territori.
D. – E’ stata tiepida la reazione dell’Autorità nazionale
palestinese che però minaccia di ricorrere all’Onu per il riconoscimento del suo Stato?
R.
– E’ chiaro, Obama non gradisce questa via perché a quel punto la tensione tra Israele
e Stati Uniti salirebbe alle stelle e gli Stati Uniti avrebbero l’unica via d’uscita
o di approvare lo Stato palestinese o di porre il veto in seno al Consiglio di sicurezza.
E’ stata una sorta di messaggio tra le righe quello che ha mandato Obama ad Abu Mazen,
come a dirgli: "Prima di arrivare a una mossa così eclatante in seno alle Nazioni
Unite, per favore, risiediti al tavolo delle trattative e io mi impegno allora, in
questo caso, a sostenerti".
D. - Quali sono le sue aspettative in merito
a questo faccia a faccia odierno tra Obama e Netanyahu?
R. - Sarà un
faccia a faccia molto teso, questo è evidente. Gli stati Uniti hanno degli strumenti
per premere su Israele che sono i miliardi che gli versano ogni anno per sostenere
il suo budget. Quindi, diciamo che bisognerebbe che sia da parte israeliana sia da
parte palestinese prevalesse il buon senso. I palestinesi hanno dimostrato la loro
buona volontà, cioè Hamas e Al Fatah hanno perlomeno sulla carta, per ora, manifestato
l’intenzione di tornare ad unirsi. Quindi, Netanyhau non può più opporre agli Stati
Uniti la ragione che ha opposto in questi ultimi anni, ovvero: "Io con chi tratto
anche volendo trattare?" I palestinesi sono divisi… Ecco i palestinesi non sono più
divisi. L’unica arma che gli rimane per smontare tutto questo è dire che comunque
con i palestinesi che comprendono Hamas, essendo Hamas una formazione terroristica,
Israele non è disposta a trattare. Qui dovrebbe esserci l’intervento americano e verificare
anche molto di quello che è stato l’atteggiamento americano nei confronti della componente
Hamas e vedere, andare a verificare quanto e come oggi si possa trattare alla stregua
in cui si tratta al Qaeda. (bf)
La presa di posizione di Obama sul Medio
Oriente deve anche fare i conti con la politica interna americana, dove già si comincia
a sentire il peso delle prossime presidenziali in programma nel 2012. Eugenio Bonanata
ha discusso delle ricadute su questo fronte con Nico Perrone, docente di Storia
degli Stati Uniti all’Università di Bari:
R. - Obama
all’interno del suo Paese non è nella migliore condizione, non è più forte come all’indomani
delle elezioni. Obama deve cercare di prepararsi a una nuova elezione in grandi difficoltà.
Lui è abilissimo nel fare le campagne elettorali, questo lo abbiamo visto e lo sappiamo,
ma non basta perché non basta saper fare buoni discorsi. Su questo è imbattibile,
ma bisogna saper dare a questi discorsi dei contenuti e dare contenuti a quello che
dice nella situazione logorata di oggi rischia di urtare fortemente Israele e di non
piacere ai palestinesi. Ce la farà? Rimane un punto interrogativo. Siccome l’uomo
politicamente è molto abile dovrà cercare molto probabilmente di accomodare ancora
il tiro.
D. - In particolare è il rapporto fra Stati Uniti e Israele
che sembra vacillare sempre di più…
R. - Ha già cominciato a vacillare
perché Israele contava tradizionalmente su un appoggio americano incondizionato e
l’appoggio americano oggi è invece condizionato e questo non piace a Israele. Ma Israele
conta non soltanto a livello internazionale, conta anche a livello interno per gli
Stati Uniti perché ha una capacità di influenza, un peso sulla politica americana
di cui Obama non può non tenere conto. (bf)