2011-05-19 12:52:44

Mons. Vegliò: no alle politiche immigratorie troppo restrittive


Il presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli itineranti, arcivescovo Antonio Maria Vegliò e il sottosegretario del dicastero, padre Gabriele Bentoglio, hanno compiuto dal 2 al 14 maggio scorsi una visita pastorale in Australia, incontrando le comunità immigrate, i vescovi locali, i cappellani e gli operatori pastorali. La visita aveva lo scopo di incoraggiare l’impegno della Chiesa in un settore particolarmente importante e impegnativo. In Australia, infatti, su una popolazione di circa 21 milioni di abitanti, ci sono circa 5 milioni lavoratori migranti, 22.500 rifugiati e 2.350 richiedenti asilo. Al microfono di Fabio Colagrande, l’arcivescovo Vegliò descrive alcuni aspetti della pastorale per i migranti e i rifugiati messa in campo dalla Chiesa australiana:RealAudioMP3

R. - La pastorale specifica dei migranti e dei rifugiati affronta sempre nuove sfide, anche in Australia. Da una parte bisogna provvedere alle necessità pastorali dei migranti anziani o di comunità che stanno rapidamente invecchiando, ma che necessitano ancora di particolare attenzione, dall’altra sono in crescente aumento le comunità con migranti molto giovani o gli studenti internazionali. Non è sempre facile rispondere alle loro necessità pastorali: penso per esempio agli studenti stranieri universitari o ai giovani delle comunità africane. Ho avuto l’impressione che la Chiesa in Australia si stia molto impegnando per favorire un dialogo sempre più intenso fra la Chiesa da cui vengono i migranti e la Chiesa in cui arrivano, perché a nessuno manchi l’amore di Cristo che si fa visibile nella concretezza di una assistenza pastorale ben indirizzata. Ho visto che si punta molto anche sull’impegno personale degli stessi immigrati. Resto sempre più ammirato quando visito comunità che non hanno sacerdoti che parlano la loro lingua, ma si avvalgono di catechisti che si impegnano a radunare i connazionali per un incontro di preghiera e di riflessione sulla Parola di Dio. Questi incontri diventano luoghi propizi anche per l’accoglienza dei nuovi arrivati. In alcuni casi, alcuni Ordinari stanno favorendo la formazione di Diaconi permanenti. È bello poi vedere che nei seminari diocesani – come pure nelle congregazioni religiose impegnate nella pastorale giovanile – le nuove vocazioni sorgono anche all’interno delle comunità etniche. Indubbiamente questo è un segno che la pastorale migratoria della Chiesa sta dando frutti positivi.

D. - A che punto è invece lo sviluppo della pastorale per i migranti e i rifugiati messa in campo dalla Chiesa australiana? Ci sono aspetti da incrementare?

R. - In effetti, la Chiesa in Australia non perde occasione per intervenire nel dialogo con le istituzioni governative sulla difesa della dignità di ogni persona umana, anche di chi si trova in situazione irregolare, e lo fa proprio come azione pastorale. Per esempio, so che da oltre un anno cercano di assicurare la presenza stabile di un sacerdote e di una religiosa presso il centro di detenzione di Christmas Island, mentre gli altri centri sono regolarmente visitati da Operatori che offrono un aiuto pastorale a tutti, a prescindere dalla fede professata. Questa presenza è fatta di ascolto e di incoraggiamento che poi si riflettono nell’intera società dando voce alle storie di vita di coloro che sono detenuti nei centri, facendo conoscere le loro vicende e le loro aspirazioni.

D. - La legislazione australiana è particolarmente dura nei confronti dei migranti privi di documenti. Possiamo parlare di una realtà che sfida la capacità di educazione all’accoglienza della Chiesa locale?

R. - Ognuno di noi vuole stare bene e vivere in pace. Nessuno lascia il proprio Paese, la casa e la famiglia per imbarcarsi e rischiare la vita a meno che vi sia costretto dall’urgenza di trovare sicurezza per sé e per i propri cari. La Chiesa si impegna a mettere in guardia dalla criminalizzazione dei migranti e dallo stereotipo che essi siano una minaccia per la sicurezza, esortando invece a guardare al loro contributo positivo e al ruolo importante che essi svolgono per lo sviluppo tanto dei Paesi che li accolgono quanto di quelli da cui provengono, anche sotto l’aspetto economico, con il loro lavoro e con le loro rimesse. Più in generale, la Chiesa sollecita una riflessione sulla coerenza storica: potremmo comprendere l’Australia di oggi senza il contributo dei lavoratori migranti? Da qui nasce l’attenzione sulle conseguenze di politiche migratorie eccessivamente restrittive che, a mio avviso, non possono fermare chi è in cerca di sicurezza e, anzi, rischiano di spingere i migranti nelle mani di trafficanti e sfruttatori. È ovvio allora che la Chiesa sia preoccupata nei confronti di politiche che si concentrano solo sui respingimenti.







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