Egitto. Amnesty: oltre 800 morti nella repressione della protesta
Alla vigilia del processo contro l’ex ministro degli Interni egiziano, Habib El Adly,
per vari capi d’accusa, inclusa l’uccisione di diversi manifestanti durante i giorni
della protesta in Piazza Tahrir, Amnesty International sollecita le autorità a garantire
giustizia a tutte le vittime della repressione. In un rapporto pubblicato oggi l’organizzazione
denuncia l’uccisione di 840 persone, il ferimento di seimila, alcune delle quali con
lesioni permanenti e il pesante ricorso alla tortura. Si chiede inoltre un risarcimento
economico per le vittime, compreso il pagamento delle spese mediche. Paolo Ondarza
ha intervistato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia:
R. – Nelle
settimane che passeranno alla storia - come sono già passate, in parte - di gennaio,
febbraio, in cui è stato fatto il primo passo per porre fine a una dittatura, ci sono
state violazioni di diritti umani in modo cospicuo. 800 e più persone uccise durante
le manifestazioni, arresti arbitrali, periodi di detenzione, torture, maltrattamenti,
stupri. Tutto questo rischia di avere uno sbocco verso la giustizia soltanto parziale
attraverso il processo all’unico fino al momento indiziato, che è il ministro degli
Interni, che dovrebbe andare sotto processo tra 48 ore. Ma non è immaginabile che
poi il tutto si risolva in un processo nei confronti di una sola persona giacché tanto
le forze di sicurezza legate al precedente regime, quanto le forze armate che sono
il perno su cui ruota l’attuale governo transitorio, hanno delle responsabilità che
devono essere accertate per fare giustizia.
D. – Ci sono prove schiaccianti,
denunciate, dell’uso della forza eccessiva segno di flagrante disprezzo per la vita
…
R. – Parliamo della modalità con cui sono state assassinate le persone
che manifestavano in piazza Tahrir: persone uccise con colpi di arma da fuoco esplosi
da distanza ravvicinata sulla parte superiore del corpo, molte persone colpite alla
testa e al petto, altre rimaste prive di vista in modo definitivo, ci sono state le
torture praticate nelle prigioni militari… Perché si apra una pagina nuova dell’Egitto
bisogna che ci siano processi e ci sia un accertamento delle responsabilità.
D.
– E non solo chiedete giustizia per chi ha subito tortura ma anche un impegno alle
autorità a sradicare la tortura…
R. - Questo è indispensabile. Se vogliamo
fare un passo successivo a quello necessario di far cadere il dittatore, occorre far
cambiare le leggi e uno stato d’emergenza che ha dato poteri incontrollati alle forze
di sicurezza per arrestare, ridurre al silenzio gli oppositori e praticare le torture.
D.
- Tra le varie richieste di Amnesty International c’è quella di un risarcimento economico
da valutare caso per caso da dare a quanti colpiti direttamente o indirettamente dalla
repressione…
R. - Intanto occorre tener conto del fatto che tantissime,
migliaia di persone, seimila almeno rimaste ferite, hanno il problema di pagarsi le
cure, le spese mediche, cure che a volte dureranno molto tempo. Inoltre l’idea che
si faccia un risarcimento non tenendo conto né delle ferite riportate, né dei danni
provocati anche sul piano economico, oltre che prima di tutto umano, della perdita
di una persona in famiglia e che si riduca tutto a dare una somma uguale per tutti
o una tantum, questo evidentemente non va bene.
D. – Amnesty International
ha valutato positivamente la “primavera” del mondo arabo, le rivolte che ci sono state
negli ultimi mesi. Ritenete che l’attuale governo transitorio in Egitto sia in grado
di accogliere le vostre richieste?
R. – Sono abbastanza dubbioso su
questo, in questa fase, perché lo stato d’emergenza rimane ancora in vigore, perché
ci sono leggi che non vanno bene come ad esempio quella che limita fortemente le manifestazioni
e gli scioperi. Abbiamo avuto notizia proprio questa mattina della condanna a morte
di un minorenne al momento del reato per uno stupro compiuto nei confronti di una
sua coetanea. E’ una fase in cui c’è molto veramente molto da fare.
D.
– Siamo in una fase cruciale, le cose potrebbero migliorare ma potrebbero o rimanere
come prima o peggiorare?
R. – Peggiorare potrebbe essere difficile perché
gli ultimi anni sotto Mubarak sono stati anni terribili dal punto di vista dei diritti
umani. Però ci sono dei brutti segnali. Ad esempio il fatto che le donne siano state
rimesse al loro posto pur avendo avuto una parte di straordinario protagonismo durante
la rivolta di piazza Tahrir. Ci sono stati casi brutti di violenza nei confronti delle
donne da parte dei militari: donne che hanno denunciato di essere state sottoposte
a test della verginità, costrette a denudarsi e minacciate di essere incriminate per
prostituzione per toglierle dalle piazze e perché evidentemente secondo chi governa
l’Egitto il loro posto non è nelle piazze. Quindi il rischio è che se non peggiori
la situazione non migliori. Questo sarebbe decisamente un peccato per l’Egitto perché
la sua popolazione merita un cambio di pagina molto netto.