2011-05-18 15:03:33

Obama rilancia il ruolo Usa nel processo di pace in Medio Oriente


A pochi giorni dalle inattese dimissioni di George Mitchell, inviato speciale americano per il Medio Oriente, il presidente Obama rilancia gli Stati Uniti nel ruolo di primo mediatore nella crisi israelo-palestinese. Ieri il capo della Casa Bianca, ricevendo a Washington il re Abdallah di Giordania, ha tracciato le future linee diplomatiche per affrontare l’annosa questione e presenterà domani un nuovo piano di pace. Intanto, sul fronte palestinese, il presidente Abu Mazen ha sollecitato l’Onu a riconoscere lo Stato della Palestina nel corso della prossima sessione dell’Assemblea Generale nel settembre prossimo, decisione che lo stesso segretario generale dichiara di competenza dell’organismo collegiale delle nazioni Unite. Ma da che cosa nasce quest’iniziativa di Barack Obama? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Fernando Fasce, docente di Storia Americana all’Università di Genova:RealAudioMP3

R. - Direi che nasce dall’esigenza improrogabile di rispondere alla primavera araba. Certamente, poi, questa delusione legata a Mitchell può avere inciso. Da un lato c’è questo, dall’altro c’è il tentativo di spendersi il capitale simbolico acquisito con la vicenda di Osama Bin Laden.

D. - Siamo in attesa di conoscere il piano di pace che proporrà il capo della Casa Bianca. Obama riuscirà, secondo lei, a trovare qualcosa che metta d’accordo le diverse istanze palestinesi ed israeliane?

R. - Allo stato attuale mi pare molto difficile, perché la posizione di Netanyahu mi pare abbastanza determinata a ben poche concessioni e Netanyahu si fa anche forte delle recenti proteste che si sono sviluppate proprio ai confini con lo Stato d’Israele. Diciamo quindi che uno dei due interlocutori non mi sembra particolarmente disponibile. Mi pare che non ci sia lo spazio - naturalmente, poi, sarei molto lieto di essere smentito - per un’ipotesi di accordo a breve. C’è invece lo spazio per un rilancio di un discorso di ampio respiro, come quello fatto al Cairo due anni fa.

D. - E’ un ulteriore ostacolo, secondo lei, la recente riunificazione di Hamas con Al Fatah?

R. - Sulla carta molti osservatori risponderebbero positivamente alla sua domanda. Io non sono così sicuro, invece, che questo possa essere un elemento di ostacolo. In realtà, si tratta di vedere se di fronte a Netanyahu si presentano delle prospettive di una mobilitazione di tipo democratico nel mondo arabo, come questa primavera ci ha fatto vedere e questo potrebbe cambiare anche gli equilibri interni alla stessa Israele.

D. - Per risolvere la questione israelo-palestinese è opportuno allargare lo stuolo dei protagonisti, e quindi guardare in senso più largo possibile a tutto il Medio Oriente e non solo?

R. - Assolutamente sì, perché in realtà bisogna raccogliere e tradurre in chiave diplomatica questo spirito di rinnovamento che, nonostante tutte le difficoltà, è maturato in questi mesi. (vv)







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