Obama rilancia il ruolo Usa nel processo di pace in Medio Oriente
A pochi giorni dalle inattese dimissioni di George Mitchell, inviato speciale americano
per il Medio Oriente, il presidente Obama rilancia gli Stati Uniti nel ruolo di primo
mediatore nella crisi israelo-palestinese. Ieri il capo della Casa Bianca, ricevendo
a Washington il re Abdallah di Giordania, ha tracciato le future linee diplomatiche
per affrontare l’annosa questione e presenterà domani un nuovo piano di pace. Intanto,
sul fronte palestinese, il presidente Abu Mazen ha sollecitato l’Onu a riconoscere
lo Stato della Palestina nel corso della prossima sessione dell’Assemblea Generale
nel settembre prossimo, decisione che lo stesso segretario generale dichiara di competenza
dell’organismo collegiale delle nazioni Unite. Ma da che cosa nasce quest’iniziativa
di Barack Obama? Giancarlo La Vella lo ha chiesto a Fernando Fasce,
docente di Storia Americana all’Università di Genova:
R. - Direi
che nasce dall’esigenza improrogabile di rispondere alla primavera araba. Certamente,
poi, questa delusione legata a Mitchell può avere inciso. Da un lato c’è questo, dall’altro
c’è il tentativo di spendersi il capitale simbolico acquisito con la vicenda di Osama
Bin Laden.
D. - Siamo in attesa di conoscere il piano di pace che proporrà
il capo della Casa Bianca. Obama riuscirà, secondo lei, a trovare qualcosa che metta
d’accordo le diverse istanze palestinesi ed israeliane?
R. - Allo stato
attuale mi pare molto difficile, perché la posizione di Netanyahu mi pare abbastanza
determinata a ben poche concessioni e Netanyahu si fa anche forte delle recenti proteste
che si sono sviluppate proprio ai confini con lo Stato d’Israele. Diciamo quindi che
uno dei due interlocutori non mi sembra particolarmente disponibile. Mi pare che non
ci sia lo spazio - naturalmente, poi, sarei molto lieto di essere smentito - per un’ipotesi
di accordo a breve. C’è invece lo spazio per un rilancio di un discorso di ampio respiro,
come quello fatto al Cairo due anni fa.
D. - E’ un ulteriore ostacolo,
secondo lei, la recente riunificazione di Hamas con Al Fatah?
R. - Sulla
carta molti osservatori risponderebbero positivamente alla sua domanda. Io non sono
così sicuro, invece, che questo possa essere un elemento di ostacolo. In realtà, si
tratta di vedere se di fronte a Netanyahu si presentano delle prospettive di una mobilitazione
di tipo democratico nel mondo arabo, come questa primavera ci ha fatto vedere e questo
potrebbe cambiare anche gli equilibri interni alla stessa Israele.
D.
- Per risolvere la questione israelo-palestinese è opportuno allargare lo stuolo dei
protagonisti, e quindi guardare in senso più largo possibile a tutto il Medio Oriente
e non solo?
R. - Assolutamente sì, perché in realtà bisogna raccogliere
e tradurre in chiave diplomatica questo spirito di rinnovamento che, nonostante tutte
le difficoltà, è maturato in questi mesi. (vv)