Medio Oriente: si dimette l'inviato Usa George Mitchell
Brutto colpo per Barack Obama. Le dimissioni di George Mitchell, inviato speciale
per il Medio Oriente, lasciano di stucco la diplomazia Usa e avvengono alla vigilia
del discorso del presidente americano sulla nuova strategia per il Medio Oriente e
della visita alla Casa Bianca del premier israeliano Netanyahu, fissata il prossimo
20 maggio. Per il momento a sostituire l’ex inviato speciale ci sarà il suo vice,
David Hale. Quali scenari apre questo cambiamento e come leggere questa mossa? Francesca
Smacchia lo ha chiesto a Eric Salerno, giornalista de Il Messaggero:
R. – Tutto
sommato è una protesta da parte di Mitchell: una protesta perché non è riuscito in
due anni a portare gli israeliani e i palestinesi a un negoziato. Questo perché soprattutto
gli israeliani hanno respinto tutte quelle piccole condizioni - io dico “piccole condizioni”
- che mettevano i palestinesi, cioè i paletti riguardo gli insediamenti nei territori.
Detto questo, Mitchell potrebbe aver lasciato anche per un altro motivo. Noi non sappiamo
ancora che cosa dirà il presidente americano nel discorso della prossima settimana.
E’ un discorso che dovrebbe fornire al mondo e soprattutto al Medio Oriente quasi
un nuovo piano, un piano americano, per arrivare alla pace, non a un negoziato ma
alla pace. Ci sono state anticipazioni che sicuramente indicano una paura da parte
della Casa Bianca di andare avanti un po’ troppo a favore dei palestinesi accettando
una serie delle loro condizioni. Questo potrebbe significare in partenza che quando
Obama parlerà, si troverà a un mondo arabo ancora più frustrato.
D.
– Barack Obama ha annunciato che di fatto queste dimissioni non cambieranno l’impegno
a favore della pace in Medio Oriente. Come si porranno gli Stati Uniti?
R.
– Non c’è dubbio che Obama non può imporre una soluzione alle parti e a Israele e
ai palestinesi, però dovrebbe avere capito quali sono i meccanismi postivi e negativi
che in questo momento frenano o mandavano avanti il negoziato. Se lui decide di prendere
posizione seriamente sui temi principali, cioè su Gerusalemme e sulla questione dei
rifugiati, allora forse c’è una speranza che qualcosa potrebbe muoversi nella direzione
giusta. Dall’altra parte si trova di fronte anche un Netanyahu che non sembra particolarmente
disponibile ad andare avanti sulla strada della pace. (bf)