2011-05-13 14:33:19

Festival di Cannes: nei film d'apertura il vuoto e la decadenza della società contemporanea


Alla ricerca di soggetti stravaganti, che possano illustrare alcuni degli aspetti più inesplicabili dell’esistenza, talvolta i cineasti dimenticano due cose: la semplicità delle forme narrative e gli elementari, imprescindibili valori della vita. È quanto accade in queste prime battute del Festival di Cannes, dove sugli schermi si alternano opere contraddittorie, come “Sleeping Beauty” di Julia Leigh o “We Need to Talk About Kevin” di Lynne Ramsay. Il primo s’incaglia in una sorta di compiaciuto voyeurismo, raccontando le pericolose esperienze di una studentessa che, per mantenersi agli studi, si prostituisce fra i membri di una strana setta di agiati vegliardi. Il secondo s’inerpica sugli specchi per cercare di spiegare i motivi di una tragedia incomprensibile, la trasformazione di un bambino viziato e poco amato dalla madre in un adolescente assassino. Entrambi vogliono raccontare la decadenza della società, ma, nonostante le buone intenzioni, si perdono in una forma troppo meccanica, prevedibile e pretenziosa, finendo per mettere in scena il vuoto della loro ispirazione. Ben più riusciti, nonostante la complessità dell’assunto, altri film si rivelano invece formidabili esploratori del profondo. “Trabalhar Cansa” di Juliana Rojas e Marco Dutra entra nel concreto di una situazione di sopravvivenza, in una società, come quella brasiliana, immersa nello stridente contrasto fra grandi ricchezze e povertà diffusa. Racconta la confusa lotta di una coppia della classe media per mantenere il suo tenore di vita, evitando di essere risucchiata dalla disoccupazione e dalla miseria. Se la storia è lineare, i due registi disseminano il percorso narrativo d’inquietanti dettagli, mettendo in scena l’inaridimento dei rapporti umani, il sopravvenire degli istinti primari e la totale scomparsa della solidarietà. La constatazione di essere di fronte a una società in pieno disfacimento viene anche da “Polisse” di Maiwenn, che mette in scena con grande abilità la routine quotidiana di una brigata di polizia francese in lotta contro la pedofilia e gli abusi sui minori. Il film è sul piano cinematografico quello che in pittura si definirebbe un affresco. La scena, popolata di personaggi, comprende pubblico e privato e racconta una situazione drammatica, talvolta assurda e inspiegabile, ma sempre coinvolgente sul piano emotivo. Gli attori sono tanti e tutti bravi, la cineasta tiene dal principio alla fine le fila della storia, lo spettatore esce dalla sala convinto di aver visto uno spicchio di vita vissuta. È lo stesso effetto che si ricava dai due migliori film di questi due primi giorni, “Restless” di Gus Van Sant e “La guerre est declarée” di Valérie Donzelli, che curiosamente affrontano lo stesso argomento, le emozioni e i comportamenti degli individui di fronte alla malattia e alla morte. Gus Van Sant racconta l’incontro fra due adolescenti segnati dal trauma della scomparsa. Lui ha perduto i genitori, lei vive i suoi ultimi mesi di vita. Il loro amore sopravviverà alla morte. Valérie Donzelli mette invece in scena la straziante e tenace lotta di due genitori per tenere in vita il loro bambino. Entrambi i film sono ispirati da una forza che va al di là della storia, la consapevolezza della finitudine dell’esistenza ma anche dell’irrevocabile dovere di vivere. (Da Cannes, Luciano Barisone)RealAudioMP3







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