Pakistan: per mons. Saldanha i cristiani sotto le violenze riscoprono Dio
La vita dei cristiani pakistani è ancora oggi “difficile e gravosa”, la maggior parte
appartiene alla “classe operaia” e deve subire fenomeni di “emarginazione sociale”.
È quanto spiega all'agenzia AsiaNews mons. Lawrence John Saldanha, arcivescovo emerito
di Lahore, che racconta la vita quotidiana della sua comunità, spesso vittima di persecuzione
e abusi. I rapporti con i musulmani restano “tesi” e basati sul “sospetto” – spiega
il prelato – e anche quando si instaurano dei legami, sono comunque “relazioni di
affari fra padrone e servo. Non si mischiano, se non per meri scopi economici e commerciali”.
Tuttavia, sofferenze e privazioni spingono i fedeli a riscoprire il ruolo di Dio nella
loro vita e a cercare nella Chiesa aiuto e conforto. A quasi due settimane dalla uccisione
di Osama Bin Laden, non vi sono segni di ulteriori violenze verso i cristiani. Subito
dopo la morte del capo di Al Qaeda, alcune fonti cattoliche avevano espresso timori
per una nuova fiammata di intolleranza religiosa. In realtà, per i cristiani pakistani,
la vita è sempre “difficile e gravosa”. Essi appartengono alla classe povera dei lavoratori,
le cui condizione di vita sono misere. I genitori, spiega l’ex presidente della Conferenza
episcopale pakistana, escono di casa al mattino presto per svolgere lavori “duri e
faticosi” come la domestica o lo spazzino. “Lavorano alle dipendenze di famiglie musulmane
– aggiunge – e finché restano in condizioni di inferiorità, sono tollerati. È una
relazione tra servo e padrone”. Mons. Saldanha conferma il fenomeno della “separazione”
in seno alla società, che si ripete da diverse generazioni. È una componente del “sistema
sociale fatto di caste alte e basse” e, aggiunge, “i cristiani sono abituati a tutto
questo”. Le divisioni permangono anche nelle attività sportive: “La situazione è peggiorata
– chiarisce il prelato – a causa dell’intolleranza e dell’estremismo religioso. Tuttavia,
l’arcivescovo emerito di Lahore riferisce anche piccoli segni di speranza. “Alcuni
esempi positivi di collaborazione – afferma mons. Saldanha – potrebbero emergere nelle
scuole cristiane, dove la maggioranza resta musulmana. Le famiglie [musulmane] incontrano
i membri cristiani della scuola, si instaurano rapporti anche se sono in maggioranza
di natura commerciale”. E poi negli uffici, dove i cristiani lavorano a stretto contatto
con colleghi musulmani. Vi sono alcuni esempi di “buona volontà e collaborazione”,
anche se è difficile che le due realtà poi si “uniscano per mangiare o bere assieme”.
Aggiungendo anche gli abusi sessuali di cui sono vittima le donne cristiane, il prelato
ammette che la situazione resta “tesa e basata sul sospetto” reciproco. Sofferenze
e persecuzioni hanno però spinto i cristiani pakistani ad approfondire la loro fede,
affidandosi totalmente a Dio nella vita quotidiana e cercando nella Chiesa un luogo
di conforto e riparo. Quando emergono accuse di blasfemia e vicende legate alla “legge
nera”, all’interno della comunità si diffondono sentimenti di paura e panico. I cristiani
abbandonano le loro case, si nascondono in luoghi più sicuri. “C’è un senso di inquietudine
e paura nella loro mente”, racconta mons. Saldanha. Tuttavia i fedeli “partecipano
in gran numero alle messe” perché trovano “consolazione” nella parola di Dio. “La
sicurezza è molto alta – conferma – e questo ha favorito una grandissima partecipazione,
per esempio, alle celebrazioni del Venerdì Santo. Abbiamo visto molta più gente rispetto
al passato e le ricorrenze legate alla Pasqua si sono svolte in tutto il Paese in
un’atmosfera di pace”. (R.P.)