Udienza generale. Il Papa prosegue la sua catechesi sulla preghiera. Testo integrale
Il Papa ha proseguito oggi, durante l’udienza generale in Piazza San Pietro, la catechesi
sulla preghiera, iniziata mercoledì scorso. Benedetto XVI ha rilevato che oggi nonostante
il secolarismo si nota un risveglio del senso religioso. “E’ fallita – ha detto -
la previsione di chi, dall’epoca dell’Illuminismo, preannunciava la scomparsa delle
religioni ed esaltava una ragione assoluta, staccata dalla fede”. In effetti, ha spiegato
– “l’uomo è per sua natura religioso” e “il desiderio di Dio … è inscritto nel cuore
dell’uomo, perché l’uomo è stato creato da Dio e per Dio”. Quindi ha aggiunto: “L’uomo
‘digitale’ come quello delle caverne, cerca nell’esperienza religiosa le vie per superare
la sua finitezza e per assicurare la sua precaria avventura terrena. Del resto, la
vita senza un orizzonte trascendente non avrebbe un senso compiuto e la felicità,
alla quale tutti tendiamo, è proiettata spontaneamente verso il futuro, in un domani
ancora da compiersi”. “L’uomo porta in sé una sete di infinito, una nostalgia di eternità,
una ricerca di bellezza, un desiderio di amore, un bisogno di luce e di verità, che
lo spingono verso l’Assoluto; l’uomo porta in sé il desiderio di Dio. E l’uomo sa,
in qualche modo, di potersi rivolgere a Dio, sa di poterlo pregare”. Tuttavia – ha
proseguito – “pregare è difficile. Infatti, la preghiera è il luogo per eccellenza
della gratuità, della tensione verso l’Invisibile, l’Inatteso e l’Ineffabile. Perciò,
l’esperienza della preghiera è per tutti una sfida, una ‘grazia’ da invocare, un dono
di Colui al quale ci rivolgiamo”. Di seguito il testo della catechesi:
Cari
fratelli e sorelle,
oggi vorrei continuare a riflettere su come la
preghiera e il senso religioso facciano parte dell’uomo lungo tutta la sua storia.
Noi
viviamo in un’epoca in cui sono evidenti i segni del secolarismo. Dio sembra sparito
dall’orizzonte di varie persone o diventato una realtà verso la quale si rimane indifferenti.
Vediamo, però, allo stesso tempo, molti segni che ci indicano un risveglio del senso
religioso, una riscoperta dell’importanza di Dio per la vita dell’uomo, un’esigenza
di spiritualità, di superare una visione puramente orizzontale, materiale della vita
umana. Guardando alla storia recente, è fallita la previsione di chi, dall’epoca dell’Illuminismo,
preannunciava la scomparsa delle religioni ed esaltava una ragione assoluta, staccata
dalla fede, una ragione che avrebbe scacciato le tenebre dei dogmatismi religiosi
e avrebbe dissolto il “mondo del sacro”, restituendo all’uomo la sua libertà, la sua
dignità e la sua autonomia da Dio. L’esperienza del secolo scorso, con le due tragiche
Guerre mondiali ha messo in crisi quel progresso che la ragione autonoma, l’uomo senza
Dio sembrava poter garantire.
Il Catechismo della Chiesa Cattolica
afferma: “Mediante la creazione Dio chiama ogni essere dal nulla all’esistenza. …
Anche dopo aver perduto la somiglianza con Dio a causa del peccato, l’uomo rimane
ad immagine del suo Creatore. Egli conserva il desiderio di colui che lo chiama all’esistenza.
Tutte le religioni testimoniano questa essenziale ricerca da parte degli uomini” (n.
2566). Potremmo dire - come ho mostrato nella scorsa catechesi - che non c’è stata
alcuna grande civiltà, dai tempi più lontani fino ai nostri giorni, che non sia stata
religiosa.
L’uomo è per sua natura religioso, è homo religiosus come
è homo sapiens e homo faber: “il desiderio di Dio – afferma ancora il Catechismo –
è inscritto nel cuore dell’uomo, perché l’uomo è stato creato da Dio e per Dio” (n.
27). L’immagine del Creatore è impressa nel suo essere ed egli sente il bisogno di
trovare una luce per dare risposta alle domande che riguardano il senso profondo della
realtà; risposta che egli non può trovare in se stesso, nel progresso, nella scienza
empirica. L’homo religiosus non emerge solo dai mondi antichi, egli attraversa tutta
la storia dell’umanità. A questo proposito, il ricco terreno dell’esperienza umana
ha visto sorgere svariate forme di religiosità, nel tentativo di rispondere al desiderio
di pienezza e di felicità, al bisogno di salvezza, alla ricerca di senso. L’uomo “digitale”
come quello delle caverne, cerca nell’esperienza religiosa le vie per superare la
sua finitezza e per assicurare la sua precaria avventura terrena. Del resto, la vita
senza un orizzonte trascendente non avrebbe un senso compiuto e la felicità, alla
quale tutti tendiamo, è proiettata spontaneamente verso il futuro, in un domani ancora
da compiersi. Il Concilio Vaticano II, nella Dichiarazione Nostra aetate, lo ha sottolineato
sinteticamente: “Gli uomini attendono dalle varie religioni la risposta ai reconditi
enigmi della condizione umana, che ieri come oggi turbano profondamente il cuore dell'uomo:
la natura dell'uomo - chi sono io? - il senso e il fine della nostra vita, il bene
e il peccato, l'origine e lo scopo del dolore, la via per raggiungere la vera felicità,
la morte, il giudizio e la sanzione dopo la morte, infine l'ultimo e ineffabile mistero
che circonda la nostra esistenza, donde noi traiamo la nostra origine e verso cui
tendiamo” (n. 1). L’uomo sa che non può rispondere da solo al proprio bisogno fondamentale
di capire. Per quanto si sia illuso e si illuda tuttora di essere autosufficiente,
egli fa l’esperienza di non bastare a se stesso. Ha bisogno di aprirsi ad altro, a
qualcosa o a qualcuno, che possa donargli ciò che gli manca, deve uscire da se stesso
verso Colui che sia in grado di colmare l’ampiezza e la profondità del suo desiderio.
L’uomo
porta in sé una sete di infinito, una nostalgia di eternità, una ricerca di bellezza,
un desiderio di amore, un bisogno di luce e di verità, che lo spingono verso l’Assoluto;
l’uomo porta in sé il desiderio di Dio. E l’uomo sa, in qualche modo, di potersi rivolgere
a Dio, sa di poterlo pregare. San Tommaso d’Aquino, uno dei più grandi teologi della
storia, definisce la preghiera “espressione del desiderio che l’uomo ha di Dio”. Questa
attrazione verso Dio, che Dio stesso ha posto nell’uomo, è l’anima della preghiera,
che si riveste poi di tante forme e modalità secondo la storia, il tempo, il momento,
la grazia e persino il peccato di ciascun orante. La storia dell’uomo ha conosciuto,
in effetti, svariate forme di preghiera, perché egli ha sviluppato diverse modalità
d’apertura verso l’Altro e verso l’Oltre, tanto che possiamo riconoscere la preghiera
come un’esperienza presente in ogni religione e cultura.
Infatti, cari
fratelli e sorelle, come abbiamo visto mercoledì scorso, la preghiera non è legata
ad un particolare contesto, ma si trova inscritta nel cuore di ogni persona e di ogni
civiltà. Naturalmente, quando parliamo della preghiera come esperienza dell’uomo in
quanto tale, dell’homo orans, è necessario tenere presente che essa è un atteggiamento
interiore, prima che una serie di pratiche e formule, un modo di essere di fronte
a Dio prima che il compiere atti di culto o il pronunciare parole. La preghiera ha
il suo centro e affonda le sue radici nel più profondo della persona; perciò non è
facilmente decifrabile e, per lo stesso motivo, può essere soggetta a fraintendimenti
e a mistificazioni. Anche in questo senso possiamo intendere l’espressione: pregare
è difficile. Infatti, la preghiera è il luogo per eccellenza della gratuità, della
tensione verso l’Invisibile, l’Inatteso e l’Ineffabile. Perciò, l’esperienza della
preghiera è per tutti una sfida, una “grazia” da invocare, un dono di Colui al quale
ci rivolgiamo.
Nella preghiera, in ogni epoca della storia, l’uomo considera
se stesso e la sua situazione di fronte a Dio, a partire da Dio e in ordine a Dio,
e sperimenta di essere creatura bisognosa di aiuto, incapace di procurarsi da sé il
compimento della propria esistenza e della propria speranza. Il filosofo Ludwig Wittgenstein
ricordava che “pregare significa sentire che il senso del mondo è fuori del mondo”.
Nella dinamica di questo rapporto con chi dà senso all’esistenza, con Dio, la preghiera
ha una delle sue tipiche espressioni nel gesto di mettersi in ginocchio. E’ un gesto
che porta in sé una radicale ambivalenza: infatti, posso essere costretto a mettermi
in ginocchio – condizione di indigenza e di schiavitù -, ma posso anche inginocchiarmi
spontaneamente, dichiarando il mio limite e, dunque, il mio avere bisogno di un Altro.
A lui dichiaro di essere debole, bisognoso, “peccatore”. Nell’esperienza della preghiera
la creatura umana esprime tutta la consapevolezza di sé, tutto ciò che riesce a cogliere
della propria esistenza e, contemporaneamente, rivolge tutta se stessa verso l’Essere
di fronte al quale sta, orienta la propria anima a quel Mistero da cui si attende
il compimento dei desideri più profondi e l’aiuto per superare l’indigenza della propria
vita. In questo guardare ad un Altro, in questo dirigersi “oltre” sta l’essenza della
preghiera, come esperienza di una realtà che supera il sensibile e il contingente.
Tuttavia
solo nel Dio che si rivela trova pieno compimento il cercare dell’uomo. La preghiera
che è apertura ed elevazione del cuore a Dio, diviene così rapporto personale con
Lui. E anche se l’uomo dimentica il suo Creatore, il Dio vivo e vero non cessa di
chiamare per primo l’uomo al misterioso incontro della preghiera. Come afferma il
Catechismo: “Questo passo d’amore del Dio fedele viene sempre per primo nella preghiera;
il passo dell’uomo è sempre una risposta. A mano a mano che Dio si rivela e rivela
l’uomo a se stesso, la preghiera appare come un appello reciproco, un evento di alleanza.
Attraverso parole e atti, questo evento impegna il cuore. Si svela lungo tutta la
storia della salvezza” (n. 2567).
Cari fratelli e sorelle, impariamo
a sostare maggiormente davanti a Dio, a Dio che si è rivelato in Gesù Cristo, impariamo
a riconoscere nel silenzio, nell’intimo di noi stessi, la sua voce che ci chiama e
ci riconduce alla profondità della nostra esistenza, alla fonte della vita, alla sorgente
della salvezza, per farci andare oltre il limite della nostra vita e aprirci alla
misura di Dio, al rapporto con Lui, che è Infinito Amore.