Siria: i carri armati sparano contro i manifestanti a Homs
In Siria prosegue la sanguinosa repressione del dissenso al regime del presidente
Assad. Proprio stamattina i carri armati sono tornati a bombardare alcuni quartieri
della città di Homs: secondo Al Jazira sarebbero morti almeno 9 dimostranti. L'agenzia
ufficiale di Stato "Sana" riferisce invece che due soldati sono stati uccisi da "bande
di terroristi armati". E all’indomani dell’entrata in vigore delle sanzioni dell’Unione
Europea contro esponenti di spicco del regime, la responsabile della politica estera
europea, Catherine Ashton, ha detto che in settimana saranno riviste le misure adottate
per “esercitare la massima pressione possibile sulla Siria”. Francesca Sabatinelli
ha intervistato Antonino Pellitteri, docente di storia dei Paesi arabi e di
islamistica all’Università di Palermo:
R. – Credo
che il governo e il regime di Assad tendano a minimizzare quanto sta accadendo: la
situazione potrebbe tornare sotto contro se lo stesso Basharal-Assad
dovesse entrare sulla scena in prima persona, intervenendo per bloccare il tentativo
di risolvere il problema soltanto con la forza della repressione. Credo che si possa
trovare un’intesa politica che coinvolga tutte le parti di questa società così composita
ed unitaria allo stesso tempo, com’è la società siriana. Guai a pensare che la lotta
di questo Paese possa approdare a divisioni di tipo etnico-confessionali.
D.
– Quindi questo ci dà un’immagine di un popolo molto, molto compatto che potrebbe
anche avere la meglio? Oppure di una situazione che è destinata a sfociare in una
vera e propria guerra civile?
R. – Non credo che ci possa essere una
guerra civile, perché non ci sono i presupposti: il popolo siriano è unito nella consapevolezza
del ruolo stesso della Siria nella regione. Io credo che Bashar al-Assad - lo ripeto
- potrebbe trovare una soluzione se riuscirà a liberarsi di alcuni gruppi del suo
regime, che sono contrari a qualsiasi tipo di cambiamento, gruppi molto ideologizzati
e che si rifanno alla vecchia ideologia "bathista". Io credo che ci sia all’interno
del regime una situazione di lotta interna in questa fase. Lo stesso fatto che Bashar
al-Assad non venga fuori personalmente, credo che testimoni proprio questo: la lotta
interna al regime, i gruppi del regime che non intendono affrontare la situazione
sul piano della politica.
D. – Sono scattate le sanzioni dell’Unione
Europea: ritiene che questa sia una politica internazionale di efficacia?
R.
– Non credo molto nella politica delle sanzioni, soprattutto in questo contesto che
riguarda tutto il mondo arabo e non soltanto un Paese come la Siria. Naturalmente
l’Europa e gli Stati Uniti hanno consapevolezza della delicatezza della situazione
e soprattutto del ruolo della Siria nella regione: è un Paese ritenuto vicino ai gruppi
radicali palestinesi o agli hezbollah in Libano, ma è un Paese che ha anche una sua
storia unitaria e qualsiasi situazione che rompa alcuni equilibri nella regione e
nella Siria stessa, porterebbe con sé – come conseguenza – la situazione del Libano,
il rapporto con Israele e quindi il discorso con la Palestina: creerebbe degli squilibri
ancora maggiori. Credo che nell’Occidente ci sia proprio questa preoccupazione e quindi
l’Occidente è abbastanza morbido - nonostante le sanzioni - è abbastanza attendista
e spera cheBasharal-Assad
possa riprendere in mano la situazione. (mg)