Messico: i vescovi dicono “basta” alla violenza che spegne la speranza
Basta “con la violenza in Messico” che provoca vittime “dovute al traffico di droga,
alla criminalità organizzata, alla corruzione dei pubblici ufficiali”. “Basta ai rapimenti,
alle estorsioni, agli omicidi, alle vendette”. È quanto chiedono i presuli del Messico
in un accorato messaggio, ripreso dall'Osservatore Romano, indirizzato a tutti i settori
della società che intendono lavorare in favore della riconciliazione nazionale. Basta
con l’infierire nei confronti di migliaia di famiglie, donne, bambini, giovani, lavoratori.
Basta – aggiungono i presuli - con i sentimenti di “paura, insicurezza, violenza e
morte”. Occorre “smettere di mentire” perché “il Messico ha ancora speranza”. Si deve
costruire un’autentica cultura della nonviolenza ed è questo un compito – sottolineano
i vescovi messicani - a cui è chiamata tutta la popolazione perché “la pace è il lavoro
di tutti”. Non si può prescindere dall’impegno ad “imporre lo stato di diritto” e
a “promuovere una giustizia rapida ed efficace per tutti i messicani”. Il messaggio
dei vescovi fa riferimento ad una realtà nazionale da tempo ormai gravemente segnata
dalla violenza con oltre 40.000 morti dal 2006 ad oggi nella guerra al narcotraffico.
A questo dramma si aggiungono altre piaghe come la corruzione, le difficili condizioni
dei lavoratori, in particolare di quelli impegnati nelle miniere. Una situazione che
ha scatenato un’ondata d’indignazione popolare culminata, domenica scorsa, in una
marcia che ha portato nelle strade della capitale 150.000 persone. Alla “Marcia per
la pace, la giustizia e la dignità”, promossa da circa 150 organizzazioni sociali,
ha partecipato anche il vescovo di Saltillo, mons. José Raúl Vera López, la cui voce
negli ultimi tempi si è levata in difesa dei minatori del Nord del Paese, vittime
di frequenti incidenti. In particolare, il vescovo ha chiesto che venga vietata la
pericolosa apertura di pozzetti di carbone e che le società per l’estrazione mineraria
vengano obbligate ad un maggior rigore nell’applicare le norme per la sicurezza. Questi
pozzi sono spesso tollerati perché fonti di lavoro. In realtà — ha detto il presule
— “sono fonti di sfruttamento e di morte”. Tra gli organizzatori della marcia, figura
anche l’intellettuale Javier Sicilia, il cui figlio è stato ucciso lo scorso mese
di marzo da narcotrafficanti. “Siamo andati a Città del Messico – ha detto - per chiedere
alle autorità di prendersi cura di questo Paese, altrimenti arriverà il disastro totale.
Bisogna dargli un buon tessuto sociale perché altrimenti non si può esprimere niente
nella politica, nella società civile e nei processi democratici”. Parole condivise
anche dal presidente messicano Felipe Calderón Hinojosa. “Anch’io - ha detto - voglio
un Messico in pace, senza violenza e libero dalla frusta e dall’oppressione della
criminalità”. (A.L.)