Don Stefano Nastasi, parroco di San Gerlando a Lampedusa Dopo lo sforzo
fatto da militari e cittadini per salvare i profughi del barcone arenatosi sugli scogli
domenica scorsa, abbiamo appreso con dolore e amarezza che tre di loro erano morti.
Ci eravamo dati da fare durante la notte per aiutare i nostri fratelli. E' un gesto
che riassume bene l'atteggiamento degli operatori umanitari e dei cittadini della
nostra isola, gente che non ci pensa due volte a tuffarsi per aiutare i migranti in
pericolo. Oggi le istituzioni ci aiutano a soccorrere chi sbarca e ad accelerare
i transiti sulla terra ferma, ma manca una risposta concreta da parte del Governo
nei confronti di un popolo che rimane testimone unico di un cambiamento epocale nel
Mediterraneo. I miei parrocchiani sono sereni, ma non vedono arrivare dallo Stato
soluzioni chiare per ovviare ai problemi della nostra comunità. Si parla di progetti
a lunga scadenza, ma mancano interventi immediati quali potrebbero essere il blocco
dei mutui o aiuti per gestire la stagione estiva.
La nostra impressione da
qui è che questi nuovi sbarchi di fratelli provenienti dalla Libia sono una sorta
di 'scudo umano' provocato dal conflitto. Noi viviamo sulla nostra pelle il risultato
di una sorta di ipocrisia a livello europeo. Molti ci danno la loro solidarietà a
livello internazionale, ma poi in concreto si scarica tutto sul territorio dell'isola.
Come se si volesse sacrificare idealmente la nostra isola per salvare il resto del
continente. Forse sono impressioni esagerate le nostre, ma realmente nel quotidiano
è quello che sentiamo. Quella che altri chiamano 'emergenza' noi la sperimentiamo
ogni giorno, non da mesi, ma da 20 anni.
Non riusciamo a percepire quale politica
europea si sta mettendo in atto di fronte a tutto questo, ma anche a livello italiano
vediamo dei ritardi. Noi come Chiesa svolgiamo un'opera di supporto per le organizzazioni
umanitarie non governative che aiutano le forze dell'ordine sul territiorio. Vogliamo
essere una presenza silenziosa e discreta che sta accanto agli altri. Non siamo qui
per criticare, ma per lavorare insieme, come facciamo ormai da mesi. Noi lo facciamo
come piccola realtà presente qui a Lampedusa, ma il nostro esempio dovrebbe essere
da monito per la Chiesa tutta. Anche negli altri luoghi, dove vengono trasferiti i
migranti in partenza da qui, è giusto che la Chiesa si mobiliti e si faccia sentire
con una presenza che continui il servizio e l'accompagnamento di questi fratelli.