Tensione in Pakistan per il blitz Usa nel covo di Bin Laden
Dopo la morte di Bin Laden, gli Usa vogliono infliggere il “colpo di grazia” ad Al
Qaeda. Lo ha detto il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, in un’intervista
televisiva in cui ha svelato ulteriori retroscena della missione che ha portato all’uccisione
del leader di Al Qaeda. Ma il blitz delle forze Usa rischia di scatenare una vera
e propria crisi politica in Pakistan, dove l’opposizione chiede le dimissioni del
premier Gilani e del presidente Zardari per non aver saputo tutelare la sovranità
territoriale. Il servizio di Marco Guerra:
La guerra
al terrore non si ferma. È questo lo spunto più saliente di oltre 60 minuti di intervista
che Obama ha rilasciato alla Cbs, proprio mentre un sito estremista islamico diffondeva
l’ultimo messaggio audio di Bin Laden, in cui in cui leader di Al Qaeda ha avvertito
“che non ci sarà sicurezza negli Stati Uniti senza la sicurezza in Palestina”. Il
presidente americano ha quindi ricostruito molti aspetti dell'attacco al compound,
definendolo "una delle sue decisioni più difficili", presa fra una cerchia ristretta
di collaboratori della Casa Bianca. Obama respinge inoltre le accuse sul trattamento
del corpo di Bin Laden. “Abbiamo avuto più cautele noi del suo corpo – ha sottolineato
- di quanto abbia fatto lui con oltre 3000 vittime delle Torri Gemelle”. Da evidenziare,
infine, la richiesta di indagini al Pakistan circa la rete di sostegno di cui avrebbe
beneficiato lo sceicco del terrore. E proprio su questo punto ad Islamabad in molti
rischiano il proprio posto. Il ministro degli Interni pakistano Malik ha infatti ammesso
il fallimento dell'intelligence di Islamabad, aggiungendo però che ciò “non significa
che queste agenzie hanno protetto i terroristi”. Anche il consigliere alla sicurezza
nazionale americano Donilon smorza i toni affermando che “non ci sono prove che il
Pakistan sapesse”. Ma a causare maggiore imbarazzo al governo pakistano è la violazione
della sovranità territoriale da parte delle truppe Usa. Sempre il ministro dell'Interno
Malik ha detto che Islamabad è stata informata del raid “15 minuti dopo l'inizio dell'operazione”.
Il premier Gilani interverrà nel tardo pomeriggio davanti al Parlamento per “condividere
con la nazione le informazioni” su quanto accaduto ad Abbottabad. In particolare Gilani
risponderà a chi ha manifestato obiezioni circa la posizione del governo, chiedendo
ai leader attuali di dimettersi.
Proteste mondo arabo Non accennano
a diminuire le manifestazioni nel mondo arabo per chiedere maggiore democrazia, libertà
e stato sociale. Ma in molti Stati il potere continua a non accettare il cambiamento
e risponde con una sanguinosa repressione contro ogni forma di dissenso. Drammatica
la situazione in Siria, dove in numerose città continuano i rastrellamenti casa per
casa. Un intero quartiere di Damasco è stato isolato dall’esercito, mentre le città
di Homs e Bamias sono strette d’assedio dai carri armati. Il servizio di Stefano
Leszczynski:
Il vento
della rivolta continua a spirare in Siria, dove è in corso una sanguinosa repressione
da parte del regime del presidente Assad. I blindati dell’esercito sono penetrati
nella notte e alle prime ore dell’alba nel centro di Homs a protezione delle forze
di sicurezza che stanno rastrellando gli oppositori casa per casa in almeno tre quartieri
della città. In oltre un mese e mezzo di repressione, sono circa 800 i civili uccisi,
ma la realtà non può essere verificata dal momento che le autorità siriane hanno espulso
dal Paese tutti i giornalisti stranieri. Continuano invece a cadere le bombe della
coalizione su Tripoli e le altre roccaforti del regime di Gheddafi, sulla cui sorte
aleggia il mistero. Il rais non si mostrerebbe in pubblico da almeno nove giorni.
Intanto, Misurata resta la città simbolo del conflitto libico con centinaia di morti
e una situazione umanitaria disastrosa. Un clima di forte frustrazione caratterizza
invece la Tunisia dove la crisi politica seguita alla cacciata del presidente Ben
Ali non ha ancora trovato soluzione. Negli ultimi tre giorni migliaia di persone sono
scese in piazza provocando una durissima repressione della polizia, mentre prende
sempre più corpo la possibilità che slitti la data delle elezioni per la formazione
di un’Assemblea costituente. Oltre 5 mila persone hanno inoltre inscenato una manifestazione
a Marrakech, in Marocco, aderendo all'invito del movimento "20 febbraio", che reclama
riforme politiche nel Paese, per denunciare l'attentato del 28 aprile scorso che ha
causato 17 morti tra i quali 13 turisti. Le proteste proseguono anche in Yemen, dove
da mesi l’opposizione chiede le dimissioni del presidente Saleh. Le notizie che arrivano
dal Paese riferiscono di un manifestante ucciso dalle forze di sicurezza a Taez, 250
km a sud della capitale Sanaa. Solo il giorno prima due persone erano state uccise
nel corso di una manifestazione di insegnanti che reclamavano un migliore trattamento
salariale.
Afghanistan Un kamikaze si è schiantato oggi con la
sua motocicletta imbottita di esplosivo davanti ad un edificio amministrativo nella
provincia afghana orientale di Laghman, provocando la morte di cinque persone ed il
ferimento di una trentina, fra i quali alcuni soldati della Forza internazionale di
assistenza alla sicurezza. Violenze anche nella provincia sud-orientale di Khost,
deve sono stati rivenuti i cadaveri di quattro studenti decapitati dai gruppi integralisti.
Intanto, i talebani hanno rilasciato un video sul cittadino canadese rapito in Afghanistan,
Colin Rutherford, annunciando che sarà processato presso uno dei loro tribunali. L'accusa
ei suoi confronti è quella di spionaggio.
Singapore, elezioni politiche Il
partito da sempre al governo a Singapore, il Pap (Partito d'azione popolare), ha vinto
le elezioni per il rinnovo del Parlamento tenutesi ieri nella città Stato, assicurandosi
81 seggi su 87. Il Pap ha ottenuto circa il 60 per cento dei voti, e grazie ai seggi
ottenuti si è garantito una maggioranza di due terzi in Parlamento. Nonostante i soli
sei seggi ottenuti, alcuni candidati dell'opposizione parlano di “risultato storico”:
nelle precedenti elezioni in molti collegi le opposizioni non si erano neanche presentate,
mentre questa volta hanno corso per quasi tutti i seggi in palio, in una campagna
elettorale più aperta rispetto al passato.
Giappone, nucleare Il
gestore energetico nipponico Chubu Electric Power ha deciso di chiudere temporaneamente
la centrale nucleare di Hamaoka, 200 km a sudovest di Tokyo, considerata uno degli
impianti atomici a più alto rischio sismico del Paese. La decisione è stata annunciata
oggi al termine di una riunione straordinaria dei vertici dell'azienda, che ha così
raccolto l'invito del premier nipponico a sospendere le operazioni per potenziare
le misure di sicurezza anti catastrofe della centrale. “È un fatto estremamente positivo”,
ha commentato il premier, ribadendo che il governo “farà il massimo per evitare rischi
di insufficienza energetica nell'area”, che vede tra l'altro la presenza di aziende
come Toyota e Suzuki.
Turchia, conferenza Onu-Paesi meno sviluppati L'Unione
Europea “resta impegnata ad accrescere gli aiuti per i Paesi meno sviluppati, raggiungendo
l'obiettivo dello 0,7% del Pil entro il 2015”. Lo ha assicurato il presidente della
Commissione Europea Barroso, intervenuto stamani a Istanbul all’apertura della quarta
Conferenza delle Nazioni Unite sui Paesi meno sviluppati. Per raggiungere questo obiettivo,
Barroso ha rivolto un appello “a tutti i Paesi, anche alle economie emergenti, perchè
garantiscano la propria quota di aiuti”.
Albania, elezioni locali Mentre
è ancora in corso lo spoglio delle schede elettorali, i socialisti rivendicano la
vittoria nelle elezioni locali in Albania, facendo appello al premier Berisha perché
riconosca la sconfitta. A Tirana i primi dati danno in testa il sindaco uscente, il
socialista Edi Rama, con il 52% dei voti. Nel voto sono in ballo i sindaci di tutte
le municipalità ed i comuni albanesi, ma l’esito finale potrebbe incidere anche sulle
sorti politiche del Paese. Il premier Berisha ha ribadito che riconoscerà i risultati
delle elezioni amministrative “quali che siano”.
Ecuador, referendum Si
delinea una vittoria netta dei “sì” nel referendum indetto in Ecuador sulle riforme
proposte dal governo socialista. Il presidente Rafael Correa ha preannunciato “grandi
cambiamenti” sulla scia del successo scaturito dalle urne. I “sì” infatti, secondo
risultati quasi definitivi, hanno prevalso per tutti i 10 quesiti posti agli oltre
11 milioni di votanti. Il presidente Correa esce rafforzato dalla consultazione, aumentando
le possibilità di riconferma nelle elezioni presidenziali del 2013.
Perù Con
l’approssimarsi del ballottaggio alle elezioni presidenziali, in programma per il
5 giugno, in Perù si preannuncia un testa a testa tra la candidata Keiko Fujimori
e Ollanta Humala. Secondo gli ultimi sondaggi la Fujimori si attesta al 41% delle
preferenze, scalzando dal primo posto il suo rivale Humala fermo al 39%.
Guinea Si
tengono a fine novembre le attese legislative che dovrebbero consentire di concludere
il periodo di transizione militare: lo ha annunciato il commissario europeo allo Sviluppo,
Andris Piebalgs, al termine di un colloquio a Conakry con il presidente eletto lo
scorso novembre, Alpha Condé. Il processo elettorale è al centro di tensioni tra maggioranza
e opposizione sia sulla data che sull’eventuale censimento da svolgere prima. Per
organizzare il voto, Bruxelles ha sbloccato un finanziamento di cinque milioni di
Euro. (Panoramica internazionale a cura di Marco Guerra e Gabriele Papini)
Bollettino
del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 129