Spagna: per i vescovi aragonesi una legge “apre la porta” all'eutanasia
Mercoledì scorso è stata resa nota la lettera pastorale “Solo Dio è il Signore della
Vita”, dell'episcopato delle diocesi spagnole dell'Aragona, pubblicata in occasione
della promulgazione, da parte del Governo autonomo aragonese, della “legge sui diritti
e le garanzie della dignità della persona nel processo di morire e nella morte”. I
presuli denunciano che la legge permetterebbe di fatto l'applicazione dell'eutanasia,
oltre al fatto di “non considerare il diritto dei professionisti del settore sanitario
all'obiezione di coscienza”. Le Cortes dell'Aragona - riferisce l'agenzia Zenit -
hanno approvato il 24 marzo scorso la norma, abbreviata dai media come “legge della
morte degna”. L'Aragona è la seconda comunità autonoma, dopo l'Andalusia, ad approvare
una norma in una materia che sarà oggetto di una legge statale del governo centrale.
Senza attendere questo provvedimento, i Governi autonomi hanno iniziato a legiferare,
dando luogo a possibili differenze tra spagnoli quanto all'esercizio dei loro diritti
nell'itinerario di fine vita. Per i vescovi aragonesi, le leggi sanitarie esistenti,
gli orientamenti delle società mediche e scientifiche e l'impegno quotidiano dei professionisti
sanitari a favore del malato sono sufficienti nella pratica quotidiana a risolvere
i dubbi che possono sorgere. Pur ritenendo positive la richiesta della legge di migliorare
l'assistenza ai malati in fase terminale e alle loro famiglie, inclusa la fase del
lutto, e quella di una migliore dotazione a livello di medicina palliativa, ospedaliera
e domiciliare, sottolineano che questa legge “potrebbe proteggere azioni di eutanasia
coperta, per abbandono terapeutico o sedazione finale inadeguata, e costringere i
medici e il personale sanitario a compiere o a collaborare ad azioni contrarie ai
principi etici fondamentali e al vero scopo della medicina. Almeno, dà la sensazione
di poter aprire la porta a ciò”, commentano. I vescovi ricordano che “il fine della
medicina, e quindi di ogni azione medica, è il bene del malato”, che include una vera
relazione medico-paziente non meramente tecnica, ma “profondamente umana”. (R.P.)