Il Papa all’udienza generale inizia un nuovo ciclo di catechesi sul tema della preghiera
“Pregare è parlare con Dio”: è quanto ha detto oggi il Papa in Piazza San Pietro durante
l’udienza generale. Benedetto XVI ha iniziato una nuova serie di catechesi, dedicata
al tema della preghiera, “in modo specifico di quella cristiana, la preghiera, cioè,
che ci ha insegnato Gesù e che continua ad insegnarci la Chiesa. E’ in Gesù, infatti,
che l’uomo diventa capace di accostarsi a Dio con la profondità e l’intimità del rapporto
di paternità e di figliolanza. Insieme ai primi discepoli, con umile confidenza ci
rivolgiamo allora al Maestro e Gli chiediamo: ‘Signore, insegnaci a pregare’ (Lc 11,1)”.
“Nelle
prossime catechesi – ha proseguito il Papa - accostando la Sacra Scrittura, la grande
tradizione dei Padri della Chiesa, dei Maestri di spiritualità, della Liturgia vogliamo
imparare a vivere ancora più intensamente il nostro rapporto con il Signore, quasi
una “Scuola della preghiera”. Sappiamo bene, infatti, che la preghiera non va data
per scontata: occorre imparare a pregare, quasi acquisendo sempre di nuovo quest’arte;
anche coloro che sono molto avanzati nella vita spirituale sentono sempre il bisogno
di mettersi alla scuola di Gesù per apprendere a pregare con autenticità. Riceviamo
la prima lezione dal Signore attraverso il Suo esempio. I Vangeli ci descrivono Gesù
in dialogo intimo e costante con il Padre: è una comunione profonda di colui che è
venuto nel mondo non per fare la sua volontà, ma quella del Padre che lo ha inviato
per la salvezza dell’uomo”.
“In questa prima catechesi, come introduzione
– ha detto il Pontefice - vorrei proporre alcuni esempi di preghiera presenti nelle
antiche culture, per rilevare come, praticamente sempre e dappertutto si siano rivolti
a Dio”. Ha iniziato con un esempio tratto dall’antico Egitto: “un uomo cieco, chiedendo
alla divinità di restituirgli la vista, attesta qualcosa di universalmente umano,
qual è la pura e semplice preghiera di domanda da parte di chi si trova nella sofferenza:
‘Il mio cuore desidera vederti... Tu che mi hai fatto vedere le tenebre, crea la luce
per me. Che io ti veda! China su di me il tuo volto diletto’”.
“Presso le religioni
della Mesopotamia – ha sottolineato - dominava un senso di colpa arcano e paralizzante,
non privo, però, della speranza di riscatto e liberazione da parte di Dio. Possiamo
così apprezzare questa supplica da parte di un credente di quegli antichi culti: ‘O
Dio che sei indulgente anche nella colpa più grave, assolvi il mio peccato... Guarda,
Signore, al tuo servo spossato, e soffia la tua brezza su di lui: senza indugio perdonagli.
Allevia la tua punizione severa. Sciolto dai legami, fa’ che io torni a respirare;
spezza la mia catena, scioglimi dai lacci’ (M.-J. Seux, Hymnes et prières aux Dieux
de Babylone et d’Assyrie, Paris 1976, trad. it. in Preghiere dell’umanità, op. cit.,
p. 37). Sono espressioni – ha affermato il Papa - che dimostrano che l’uomo, nella
sua ricerca di Dio, ne abbia intuito, sia pur confusamente”, anche “aspetti di misericordia
e di bontà divina”.
“All’interno della religione pagana dell’antica Grecia
– ha rilevato poi il Papa - si assiste a un’evoluzione molto significativa: le preghiere,
pur continuando a invocare l’aiuto divino per ottenere il favore celeste in tutte
le circostanze della vita quotidiana e per conseguire dei benefici materiali, si orientano
progressivamente verso le richieste più disinteressate, che consentono all’uomo credente
di approfondire il suo rapporto con Dio e di diventare migliore. Per esempio, il grande
filosofo Platone riporta una preghiera del suo maestro, Socrate, ritenuto giustamente
uno dei fondatori del pensiero occidentale: ‘Fate che io sia bello di dentro. Che
io ritenga ricco chi è sapiente e che di denaro ne possegga solo quanto ne può prendere
e portare il saggio. Non chiedo di più’”.
“In quegli eccelsi capolavori della
letteratura di tutti i tempi che sono le tragedie greche, ancor oggi, dopo venticinque
secoli, lette, meditate e rappresentate – ha continuato il Papa - sono contenute delle
preghiere che esprimono il desiderio di conoscere Dio e di adorare la sua maestà.
Una di queste recita così: ‘Sostegno della terra, che sopra la terra hai sede, chiunque
tu sia, difficile a intendersi, Zeus, sia tu legge di natura o di pensiero dei mortali,
a te mi rivolgo: giacché tu, procedendo per vie silenziose, guidi le vicende umane
secondo giustizia’ (Euripide, Troiane, 884-886, trad. it. G. Mancini, in Preghiere
dell’umanità, op. cit., p. 54)”.
“Anche presso i Romani, che costituirono
quel grande Impero in cui nacque e si diffuse in gran parte il Cristianesimo delle
origini – ha osservato - la preghiera, anche se associata a una concezione utilitaristica
e fondamentalmente legata alla richiesta della protezione divina sulla vita della
comunità civile, si apre talvolta a invocazioni ammirevoli per il fervore della pietà
personale, che si trasforma in lode e ringraziamento. Ne è testimone un autore dell’Africa
romana del II secolo dopo Cristo, Apuleio. Nei suoi scritti egli manifesta l’insoddisfazione
dei contemporanei nei confronti della religione tradizionale e il desiderio di un
rapporto più autentico con Dio. Nel suo capolavoro, intitolato Le metamorfosi, un
credente si rivolge a una divinità femminile con queste parole: ‘Tu sì sei santa,
tu sei in ogni tempo salvatrice dell’umana specie, tu, nella tua generosità, porgi
sempre aiuto ai mortali, tu offri ai miseri in travaglio il dolce affetto che può
avere una madre. Né giorno né notte né attimo alcuno, per breve che sia, passa senza
che tu lo colmi dei tuoi benefici’ (Apuleio di Madaura, Metamorfosi IX, 25, trad.
it. C. Annaratone, in Preghiere dell’umanità, op. cit., p. 79). Nello stesso periodo
l’imperatore Marco Aurelio – che era pure filosofo pensoso della condizione umana
– afferma la necessità di pregare per stabilire una cooperazione fruttuosa tra azione
divina e azione umana. Scrive nei suo Ricordi: ‘Chi ti ha detto che gli dèi non ci
aiutino anche in ciò che dipende da noi? Comincia dunque a pregarli, e vedrai’ (Dictionnaire
de Spiritualitè XII/2, col. 2213). Questo consiglio dell’imperatore filosofo è stato
effettivamente messo in pratica da innumerevoli generazioni di uomini prima di Cristo,
dimostrando così che la vita umana senza la preghiera, che apre la nostra esistenza
al mistero di Dio, diventa priva di senso e di riferimento. In ogni preghiera, infatti,
si esprime sempre la verità della creatura umana, che da una parte sperimenta debolezza
e indigenza, e perciò chiede aiuto al Cielo, e dall’altra è dotata di una straordinaria
dignità, perché, preparandosi ad accogliere la Rivelazione divina, si scopre capace
di entrare in comunione con Dio”.
“Cari amici – ha continuato il Papa - in
questi esempi di preghiere delle diverse epoche e civiltà emerge la consapevolezza
che l’essere umano ha della sua condizione di creatura e della sua dipendenza da un
Altro a lui superiore e fonte di ogni bene. L’uomo di tutti i tempi prega perché non
può fare a meno di chiedersi quale sia il senso della sua esistenza, che rimane oscuro
e sconfortante, se non viene messo in rapporto con il mistero di Dio e del suo disegno
sul mondo. La vita umana è un intreccio di bene e male, di sofferenza immeritata e
di gioia e bellezza, che spontaneamente e irresistibilmente ci spinge a chiedere a
Dio quella luce e quella forza interiori che ci soccorrano sulla terra e dischiudano
una speranza che vada oltre i confini della morte. Le religioni pagane rimangono un’invocazione
che dalla terra attende una parola dal Cielo. Uno degli ultimi grandi filosofi pagani,
vissuto già in piena epoca cristiana, Proclo di Costantinopoli, dà voce a questa attesa:
‘Inconoscibile, nessuno ti contiene. Tutto ciò che pensiamo ti appartiene. Sono da
te i nostri mali e i nostri beni, da te ogni nostro anelito dipende, o Ineffabile,
che le nostre anime sentono presente, a te elevando un inno di silenzio’ (Hymni, ed.
E. Vogt, Wiesbaden 1957, in Preghiere dell’umanità, op. cit., p. 61)”.
“Negli
esempi di preghiera delle varie culture, che abbiamo considerato – ha detto il Papa
- possiamo vedere una testimonianza della dimensione religiosa e del desiderio di
Dio iscritto nel cuore di ogni uomo, che ricevono compimento e piena espressione nell’Antico
e nel Nuovo Testamento. La Rivelazione, infatti, purifica e porta alla sua pienezza
l’anelito originario dell’uomo a Dio, offrendogli, nella preghiera, la possibilità
di un rapporto più profondo con il Padre celeste. All’inizio di questo nostro cammino
nella scuola della preghiera - ha concluso - vogliamo allora chiedere al Signore
che illumini la nostra mente e il nostro cuore perché il rapporto con Lui nella preghiera
sia sempre più intenso, affettuoso e costante. Ancora una volta diciamoGli: ‘Signore,
insegnaci a pregare’ (Lc 11,1)”.