Brasile: protesta degli indigeni contro le grandi infrastrutture in Amazzonia
Un accampamento che riproduce un villaggio tradizionale nella spianata di fronte al
Congresso di Brasilia, in prossimità della presidenza. Per l’ottavo anno consecutivo,
circa 800 indigeni in rappresentanza di 230 etnie del Brasile hanno messo in scena
questa originale forma di protesta per chiedere un freno ai mega progetti di infrastrutture
che il governo porta avanti nei loro territori ancestrali e più in generale la difesa
dei loro diritti sanciti dalla Costituzione. I dimostranti presiederanno la struttura
fino a giovedì, quando sperano di essere ricevuti dal presidente del Brasile, Dilma
Rousseff. Al centro delle proteste l’avanzare di centrali idroelettriche e autostrade
in Amazzonia e in altre regioni del Paese, a partire dal controverso impianto di Belo
Monte. Di recente, la centrale idroelettrica di Belo Monte, nello Stato amazzonico
del Pará, concepita per diventare la terza al mondo dopo quella delle Tre Gole, in
Cina, e di Itaipú, alla frontiera tra Brasile e Paraguay, è stata contestata anche
dalla Commissione interamericana dei diritti umani (Cidh) dell’Organizzazione degli
Stati Americani (Osa), che ha chiesto al governo di fermare i lavori fino a quando
non saranno consultate le popolazioni che ne subiranno l’impatto. “Viviamo in accampamenti
improvvisati sparsi ovunque perché i grandi coltivatori di soia hanno invaso i nostri
territori”, ha raccontato all'agenzia Fides Leia Kaiowá, rappresentante del popolo
Guaraní-Kaiowá dello Stato centro-occidentale del Mato Grosso do Sul. “Il presidente
Lula ha riconosciuto molte terre indigene – ha aggiunto Kaiowá - ma le procedure
sono paralizzate. Speriamo che Dilma sia più comprensiva, anche se finora non ha fatto
nulla per i nativi”. Secondo la Fondazione nazionale dell’indio (Funai, ente governativo)
in Brasile si contano circa un milione di indigeni su una popolazione globale di 190
milioni di abitanti. (M.G.)