2011-04-30 14:08:36

Roma: al Campus Biomedico incontro sulla sofferenza nell’insegnamento di Giovanni Paolo II


Il rapporto di Papa Wojtyla con la malattia, il dolore fisico e spirituale dell’uomo, ma anche la sofferenza del mondo: questo il tema affrontato ieri in un incontro organizzato dal Campus Biomedico di Roma presso l’Auditorium Parco della Musica. A ripercorrere il lungo Pontificato di Giovanni Paolo II attraverso questa chiave di lettura insolita si sono ritrovati Joaquín Navarro-Valls, per anni direttore della Sala stampa vaticana, mons. Slawomir Oder, postulatore della causa di Beatificazione e alcuni docenti universitari: Francesco D’Agostino, ordinario di Filosofia del diritto all’università di Tor Vergata, Daniela Tartaglini, direttore infermieristico del Policlinico universitario Campus Biomedico e Paolo Arullani, presidente dell’ateneo, che ha sottolineato come l’iniziativa mirava a essere “un omaggio del mondo accademico a un Papa che fu anche un grande intellettuale”. Navarro Valls ha subito evidenziato come sia errato pensare che Giovanni Paolo II si accostò al tema del dolore solo dopo l’attentato subito in piazza San Pietro: da bambino, infatti, perse la madre e il fratello, mentre non aveva mai conosciuto la sorella, morta prima che lui nascesse, “e per di più nel contesto di una Polonia già caduta sotto l’occupazione nazista”. Eppure rimase sempre immune da qualsiasi rischio di dolorismo: “Non credeva nel diritto a non soffrire, né nel dovere di soffrire – ricorda – semplicemente capiva che la sofferenza è inevitabile e che sempre si accompagna alla parola mistero”. È proprio nelle domande che l’uomo si pone quando soffre, infatti, che inizia il cammino che può portare alla scoperta del senso del dolore e della sofferenza, che possono trovare senso solo alla luce del sacrificio di Cristo sulla Croce: “Se fosse mancata quell’agonia – scriveva il Papa nel libro ‘Varcare la sofferenza’ – la verità che Dio è Amore sarebbe rimasta sospesa nel vuoto”. È nella convinzione che in Cristo trova senso ogni tragedia umana, inoltre, che si radicava il suo profondo, convinto, ragionato, assoluto ottimismo: “Il riflesso esteriore di una speranza profonda, di una fede radicata che stava anche alla base del suo buon umore”, spiega ancora Navarro-Valls. Fin dall’inizio del Pontificato, Papa Wojtyla impose che le prime file delle udienze fossero occupate dai malati, veri protagonisti della storia dell’umanità, e a chi gli faceva notare il ritardo che accumulava intrattenendosi con ognuno di loro, rispondeva: “Con chi soffre non si deve mai avere fretta”. Una grande attenzione riservata al malato dunque, che sempre considerò “un soggetto che cerca e attende una cura” e non “un oggetto da curare”: questo il suo indimenticabile insegnamento alla classe medica. Prima ancora di essere lui stesso piegato, ma mai spezzato neppure alla fine, dalla malattia, si fece guidare nella riflessione sulla sofferenza dalle figure di Giobbe e del Cireneo, che si portò addosso la sofferenza di un altro che neppure conosceva. E l’unica risposta a questa sofferenza, è, appunto, Cristo, come ha sottolineato mons. Oder: “La conclusione del magistero di Giovanni Paolo II – ha detto – trova compimento nel suo rapporto con l’Eucarestia, dove si trova la risposta ultima”. Tra le tante testimonianze, infine, il postulatore cita una lettera che Papa Wojtyla inviò al suo amico morente, prof. Don Tischner: “Tra tutti coloro che in qualche modo ti accompagnano in questa tappa della tua vita cerco di esserci anch’io – scriveva – cerchiamo dunque di conservare un silenzio colmo di profonda commozione e chiediamo a Cristo di parlare Lui stesso, perché soltanto Lui ha parole di vita eterna”. (A cura di Roberta Barbi)







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