Papa Wojtyla: le testimonianze di Kiko Argüello, Marco Impagliazzo, Maria Voce e Andrea
Olivero
In tanti anche del Cammino Neocatecumenale prenderanno parte alla Beatificazione di
Giovanni Paolo II. Debora Donnini ha chiesto all’iniziatore, Kiko Argüello,
cosa prova per questo evento:
R. – Noi
siamo molto contenti, perché per noi è sempre stato un uomo santo; in particolare
negli ultimi anni della sua vita, con il tanto coraggio, con la fatica immane che
faceva nel trascinare il suo corpo malato, ha fatto un bene immenso a tutti gli anziani
del mondo, visti come vecchi da scartare. Lui, in questo senso, è stato lo strumento
della Provvidenza divina.
D. - Cosa ha rappresentato Giovanni Paolo
II per il Cammino Neocatecumenale?
R. – E’ stato molto importante, perché
per esempio ha approvato lo Statuto. Giovanni Paolo II ha definito la natura del Cammino
Neocatecumenale, quando ha detto che il Cammino è un itinerario di formazione cattolica
valido per la società, per i tempi di oggi. Dopo aver visto la difficoltà della Scandinavia,
della Finlandia, della Svezia, dove la società è tutta secolarizzata, abbiamo pensato
che fosse necessario mandare famiglie che mostrassero la fede cristiana. E abbiamo
inviato durante il suo pontificato le prime famiglie nel Nord Europa. Dopo la nascita
delle comunità, c’era bisogno di presbiteri, e lui è stato coraggiosissimo, accettando
di aprire un seminario Redemptoris Mater con questi presbiteri, che assieme alle famiglie
in missione nel Cammino portassero avanti una nuova evangelizzazione.
D.
– Per il Cammino, quindi, si può dire che questa Beatificazione sia un forte incoraggiamento
per continuare la nuova evangelizzazione?
R. – Senza dubbio. Noi siamo
contentissimi. Il Cammino non sarebbe il cammino senza Giovanni Paolo II: è stato
veramente un angelo!
D. – Giovanni Paolo II ha anche visitato la Domus
Galilaeae, il Centro internazionale del Cammino sul Lago di Tiberiade...
R.
– Sì, è entrato nella Domus Galilaeae e ha detto: “Il Signore vi stava aspettando
qua”. Poi ha mandato una lettera dove diceva che questa casa sarà provvidenziale per
gli incontri tra il popolo ebreo e la Chiesa cattolica. Abbiamo fatto adesso una sinfonia
per gli ebrei e ne sono venuti 900: è stato un evento impressionante. (ap)
L’attenzione
verso i poveri, l’infaticabile impegno per una pace globale, hanno legato il Pontificato
di Giovanni Paolo II alla Comunità di Sant’Egidio che in questi anni ha riproposto
lo spirito del primo grande incontro delle religioni, voluto da Papa Wojtyla ad Assisi
nel 1986. Fabio Colagrande ha intervistato Marco Impagliazzo, presidente
della Comunità:
R. – Noi
andammo ad Assisi, invitati dalla Santa Sede, per accompagnare gli ospiti interreligiosi
e soprattutto musulmani. Quel giorno, però, il Papa disse: “La pace attende i suoi
operai: la pace è un cantiere aperto”. Con il professor Riccardi, nostro fondatore,
si decise di non lasciar cadere quel momento così importante, perché lo spirito di
Assisi soffiò per la prima volta mentre il mondo viveva ancora sotto la minaccia di
una guerra nucleare – il mondo era diviso in due blocchi – e fu una giornata di tregua
universale. Le armi non parlarono in quel giorno, ma soltanto la forza della preghiera.
Noi pensammo che l’intuizione profetica del Papa doveva superare il 1986 e doveva
essere riproposta ogni anno.
R. – In questo senso è significativo che
proprio nell’anno della Beatificazione di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI ad ottobre
tornerà ad Assisi, nel 25.mo di quel primo grande incontro delle religioni...
R.
– E’ una scelta importantissima di grande continuità tra i due Pontificati, con tutte
le differenze legate alle personalità dei Papi. Riproporre questo incontro non significa
solo ricordare qualcosa che è avvenuto 25 anni fa. Oggi il mondo è cambiato, ma ha
sempre bisogno di pace, e oggi le religioni, più che mai, sono chiamate a lavorare
per la pace e a togliere qualsiasi elemento che possa favorire la violenza, l’incomprensione,
lo scontro.
D. – Un altro elemento del vostro forte rapporto con Giovanni
Paolo II è il fatto che la vostra comunità abbia lavorato in campo internazionale
per promuovere la pace, anche e soprattutto impegnandosi in casi determinati, come
quello del Mozambico, nel quale il vostro apporto è stato decisivo. Giovanni Paolo
II è stato un Papa che si è impegnato in prima persona proprio per la pace...
R.
– Sì, una delle parole d’ordine del suo Pontificato è stata la costruzione della pace
a mani nude. Il Papa ha veramente creduto nei processi di transizione verso la democrazia
in tanti Paesi del mondo con la sola forza della convinzione, delle parole. Laddove
la Chiesa ha favorito, ha accettato l’idea di un’ingerenza umanitaria era per difendere
le popolazioni civili inermi. Ma la cifra di questo Pontificato è stata costruire
la pace a mani nude, con la sola forza della convinzione, che viene dalla predicazione
del Vangelo.
D. – L’attenzione per i poveri e gli anziani è un altro
carisma della vostra comunità, che vi avvicinava a Giovanni Paolo II...
R.
– Sì, perché quando lui venne a trovarci proprio nella nostra casa di Sant’Egidio
a Trastevere, vide con i suoi occhi tante generazioni riunite - dai giovanissimi agli
anziani - e questo a lui piacque particolarmente, tanto che insisteva molto sul fatto
che la vita nella comunità potesse rompere l’isolamento e l’autodistruzione di tanti
giovani e di tanti anziani. Lui vedeva in questa comunione tra le varie generazioni
una vera realtà evangelica.
D. – Il vostro auspicio come comunità, in
occasione di questa Beatificazione...
R. – Penso che richiamare questa
figura oggi, non farne tanto un santino dei tempi moderni, ma farne un esempio da
imitare, potrà dare forza a tanti credenti che si sono un po’ indeboliti. Il riferimento
a Giovanni Paolo II è il riferimento alla forza del Vangelo, alla forza della predicazione
e dell’operare per mettere in pratica il Vangelo.(ap)
Alla vigilia
della Pentecoste del 1998 Giovanni Paolo II chiamò a raccolta in Piazza San Pietro
i movimenti, i gruppi e le nuove associazioni ecclesiali. Tra gli altri era presente
anche il Movimento dei Focolari rappresentato dalla fondatrice, Chiara Lubich. In
quell'occasione Papa Wojtyla riconobbe pubblicamente il ruolo di queste realtà nella
Chiesa, come mai era stato fatto prima. E in quell'occasione Chiara si impegnò di
fronte a lui per la crescita del rapporto di comunione tra i movimenti stessi. Al
microfono di Adriana Masotti, ascoltiamo Maria Voce, attuale presidente
dei Focolari:
R. – E’ stato
veramente il protettore dei movimenti, perché ha riconosciuto in essi il soffio dello
Spirito Santo per la Chiesa. Però proprio in quell’occasione ha anche chiesto ai movimenti
di uscire da una specie d’infanzia e di produrre frutti maturi di comunione e di impegno.
D.
– Papa Wojtyla ha seguito da vicino il Movimento dei Focolari lungo tutto il suo Pontificato…
R.
– Possiamo dire veramente che abbiamo sentito molto spesso il suo amore di predilezione:
nei suoi sguardi, nei suoi saluti, ma anche in tanti gesti concreti. E’ stato lui
– per esempio – che ha voluto mettere a disposizione del Movimento l’ex Sala delle
Udienze di Castel Gandolfo, che è diventato il nostro Centro Mariapoli dove si susseguono
incontri tutto l’anno; e poi come non ricordare la visita fatta al Centro del Movimento
dei Focolari: in quell’occasione è stato bellissimo come lui ha ricordato proprio
il radicalismo dell’amore, che indicava come una caratteristica del Movimento dei
Focolari.
D. – Giovanni Paolo II aveva anche un’intesa personale molto
profonda con Chiara Lubich: su che cosa si fondava questa sintonia spirituale?
R.
– Io credo che ci fosse, intanto, proprio questa spiritualità di comunione che lui
sentiva presente per un carisma in Chiara, vissuta da tutto il Movimento e che lui
agognava per tutta la Chiesa. Poi credo anche l’apertura che trovava in Chiara e nel
Movimento verso tutti gli uomini, senza differenza di classi sociali, di religioni,
di nazionalità e che corrispondeva al suo sguardo sull’uomo, a questa sua fede nel
valore dell’uomo al di là di qualsiasi cosa.
D. – Maria Voce, dal suo
punto di vista personale, chi è stato Giovanni Paolo II e che cosa in particolare
– pensa – che voglia ricordare oggi alla Chiesa e a tutta l’umanità?
R.
– E’ stato un grande, in tutti i sensi e sotto tutti gli aspetti. Quello che mi sembra
molto importante è stato questo riconoscere in qualunque uomo il Figlio di Dio e,
quindi, questa altissima dignità che lui riconosceva negli uomini a tutte le latitudini
e che lo portava a privilegiare i rapporti con chiunque e che ha dato anche un grandissimo
impulso a tutti i dialoghi nella Chiesa: io ero ad Istanbul quando è venuto nel ’79
in visita al Patriarca Demetrio e ricordo la sua gioia nell’incontrare questo Patriarca
ecumenico. Penso inoltre che la sua figura possa dare alla Chiesa e al mondo questa
speranza e questa fiducia nell’azione dello Spirito Santo, che nei momenti più bui
torna sempre a riprendere in mano le sorti della Chiesa. Questo lui lo ha detto e
testimoniato soprattutto con la sua apertura nei confronti dei giovani che sono accorsi
sempre numerosissimi ai suoi inviti, perché sentivano in lui la Chiesa-giovane. Quindi
addita anche all’umanità, la Chiesa come una Chiesa giovane, bella, capace di dare
le sue risposte alle esigenze dell’uomo di oggi. (mg)
Presenti all’appuntamento
ecclesiale anche le Acli, le associazioni cristiane dei lavoratori italiani. Sull’impegno
di Giovanni Paolo II a favore del mondo del lavoro, Alessandro Guarasci ha
sentito il presidente delle Acli Andrea Olivero:
R. – Ha rimesso
al centro della questione sociale il lavoro, facendo sì che vi fosse una nuova attenzione
a questo aspetto importante della vita dell’uomo, andando proprio a riscoprirne la
dignità, che deriva dalla dignità dell’uomo stesso. Papa Giovanni Paolo II è stato,
da questo punto di vista, davvero un grande maestro: e questo sia da un punto di vista
dottrinale, perché con la “Laborem Exercens” ha – in qualche modo – dato indicazioni
pastorali molto precise, sia perché egli da lavoratore – quale è stato – ha mostrato
una vicinanza, un affetto per il mondo del lavoro che mai era stata sentita così forte.
D. – Tra l’altro, temi assolutamente attuali, vista la crisi economica
e visto anche l’elevato numero di disoccupati che si registra in Europa e nel mondo...
R.
– Assolutamente sì. Io credo che l’insegnamento di Giovanni Paolo II e la sua vicinanza,
in particolare ai giovani lavoratori, sia una sfida e un appello – vorrei dire - alle
coscienze cristiane ancora oggi, affinché si impegnino di più per sostenere il lavoro,
per dare dignità al lavoro e, quindi, ai lavoratori naturalmente.
D.
– Una forte critica al comunismo, ma anche una forte denuncia a tutti i limiti del
capitalismo: secondo lei, il mondo della finanza ha capito quella lezione?
R.
– Purtroppo stiamo assistendo ad un ritorno indietro: nonostante non si siano ancora
visti elementi di uscita alla crisi, che qualcuno prospettava, molti già cercano di
farci dimenticare quello che è stato. Soprattutto il mondo della finanza non ha modificato
le regole sostanziali che hanno portato al disastro. Quel disegno di economia perversa
era un disegno sorretto da una forte ideologia, basata sull’individualismo e sullo
sfruttamento: quell’ideologia è tutt’altro che morta, anzi noi la vediamo ben presente
all’interno della nostra società. (mg)