Siria: 500 le vittime della repressione. Cresce il dissenso nel Paese
In Siria si aggrava il bilancio delle vittime in seguito alla dura repressione delle
proteste antigovernative. Secondo l’organizzazione per i diritti umani Sawasiah sono
almeno 500 i civili morti e migliaia le persone arrestate. Sul fronte diplomatico,
il Consiglio di Sicurezza dell'Onu non è riuscito a raggiungere un accordo su un documento
di condanna della repressione. La Russia ha chiesto alla Siria di aprire un'inchiesta.
La credibilità del governo siriano, minata anche dalle dimissioni di oltre 200 esponenti
del partito Baath, appare ormai usurata, come sottolinea al microfono di Amedeo
Lomonaco la professoressa Marcella Emiliani, docente di Storia e Istituzioni
del Medio Oriente all'Università di Bologna-Forlì:
R. – Il presidente
Bashar al-Assad ha commesso una serie di errori gravi. Prima di tutto, non si spara
sulla propria popolazione. Ma, dal punto di vista della credibilità del governo, la
cosa più grave è che da una parte promette riforme – il passo più importante è stato
quello di eliminare lo stato d’emergenza, che era in vigore dal ’63 – e dall’altra,
però, smentisce nei fatti quelle riforme che promette. Il giorno stesso che ha tolto
lo stato d’emergenza ha spedito addirittura i carri armati contro la propria popolazione.
D.
– Come si presenta oggi l’opposizione siriana?
R. – Pur non essendo
unita, pur avendo tantissime difficoltà non cede e, quindi, questa repressione brutale,
con cui Bashar al-Assad sperava di avere ragione dei dimostranti, finora non ha pagato.
D.
– Nonostante la situazione sia critica, l’esercito appare ancora compatto al fianco
del governo...
R. – Finora non si sono avuti quegli schieramenti dell’esercito
al fianco della popolazione, che avevamo visto in Tunisia e in Egitto. L’esercito
è ancora fortemente in mano a Bashar al-Assad. Naturalmente, però, se lo sgretolamento
inizia all’interno del partito unico, il partito Baath, questo potrebbe avere dei
riflessi sull’esercito medesimo.
D. – Come giudicare la pressione internazionale
sulla Siria?
R. – Finora è stata veramente molto blanda. Questo perché
la Siria è un Paese che ha in mano le chiavi della stabilità del Libano, della Palestina,
dell’Iraq, e, ricordiamolo, è l’unico Stato arabo alleato di Teheran. Quindi, toccare
la Siria significa mettere le mani su un vespaio che poi porterebbe ad uno scontro
diretto di nuovo con l’Iran e tra Israele e Iran.
D. – Internet si conferma
il motore delle proteste e su Facebook è stato lanciato un nuovo appello per partecipare
domani, giorno della preghiera per i musulmani, alle proteste contro il governo...
R.
– I social network sono stati il vero motore di tutte le rivolte del Medio Oriente.
Per quel che riguarda la Siria poi, la repressione del regime sugli stessi social
network è sempre stata molto alta e si deve a tutta una catena di siriani all’estero
il fatto di avere tenuto in vita anche i social network siriani. Il Paese, però, è
totalmente chiuso alla stampa. Siamo nel buio informativo più totale.
D.
– Nonostante questo buio informativo, è possibile prevedere una fase di transizione
nel prossimo futuro della Siria?
R. – No, nel senso che il problema
in Siria è che non si riescono a intravedere neanche gli attori di questa possibile
transizione. Se il regime cominciasse ad allentare la stretta repressiva, allora si
potrebbe ridare un qualche spazio alla politica. (ap)