Benedetto XVI racconta la sua amicizia con Giovanni Paolo II
Fervono i preparativi a Roma e in Vaticano per la Beatificazione di Giovanni Paolo
II. Si prevede la partecipazione di centinaia di migliaia di pellegrini. Domani alle
11.30 si svolgerà nella Sala Stampa della Santa Sede un briefing di presentazione
degli eventi legati all’avvenimento. Sabato sera, il cardinale vicario Agostino Vallini
presiederà una veglia di preghiera al Circo Massimo a partire dalle 20.00. Domenica
primo maggio, Benedetto XVI celebrerà in Piazza San Pietro, alle 10.00, la Messa in
cui proclamerà Beato Papa Wojtyla. Oggi vi riproponiamo un’intervista rilasciata da
Benedetto XVI alla TV pubblica polacca e trasmessa il 16 ottobre 2005, in cui
parlava della sua amicizia con Giovanni Paolo II, nata nel conclave del 1978. L’intervista
è del padre gesuita polacco Andrea Majewski:
R. – Dall’inizio
ho sentito una grande simpatia e, grazie a Dio, immeritatamente, il cardinale di quel
tempo mi ha donato fin dall’inizio la sua amicizia. Sono grato per questa fiducia
che mi ha donato, senza i miei meriti. Soprattutto vedendolo pregare, ho visto e non
solo capito, ho visto che era un uomo di Dio. Questa era l’impressione fondamentale:
un uomo che vive con Dio, anzi in Dio. Mi ha poi impressionato la cordialità, senza
pregiudizi, con la quale si è incontrato con me. Senza grandi parole, era così nata
un’amicizia che veniva proprio dal cuore e, subito dopo la sua elezione, il Papa mi
ha chiamato diverse volte a Roma per colloqui e alla fine mi ha nominato Prefetto
della Congregazione per la Dottrina della Fede.
D. - Quali sono, secondo
Lei, Santo Padre, i punti più significativi del Pontificato di Giovanni Paolo II?
R.
- Possiamo avere, direi, due punti di vista: uno ad extra - al mondo -, ed uno ad
intra - alla Chiesa -. Riguardo al mondo, mi sembra che il Santo Padre, con i suoi
discorsi, la sua persona, la sua presenza, la sua capacità di convincere, ha creato
una nuova sensibilità per i valori morali, per l’importanza della religione nel mondo.
Questo ha fatto sì che si creasse una nuova apertura, una nuova sensibilità per i
problemi della religione, per la necessità della dimensione religiosa nell’uomo e
soprattutto è cresciuta – in modo inimmaginabile – l’importanza del Vescovo di Roma.
Tutti i cristiani hanno riconosciuto – nonostante le differenze e nonostante il loro
non riconoscimento del Successore di Pietro – che è lui il portavoce della cristianità.
Nessun altro al mondo, a livello mondiale può parlare così nel nome della cristianità
e dar voce e forza nell’attualità del mondo alla realtà cristiana. Ma anche per la
non cristianità e per le altre religioni, era lui il portavoce dei grandi valori dell’umanità.
E’ anche da menzionare che è riuscito a creare un clima di dialogo fra le grandi religioni
e un senso di comune responsabilità che tutti abbiamo per il mondo, ma anche che le
violenze e le religioni sono incompatibili e che insieme dobbiamo cercare la strada
per la pace, in una responsabilità comune per l’umanità. Spostiamo l’attenzione ora
verso la situazione della Chiesa. Io direi che, anzitutto, ha saputo entusiasmare
la gioventù per Cristo. Questa è una cosa nuova, se pensiamo alla gioventù del ’68
e degli anni Settanta. Che la gioventù si sia entusiasmata per Cristo e per la Chiesa
ed anche per valori difficili, poteva ottenerlo soltanto una personalità con quel
carisma; soltanto Lui poteva in tal modo riuscire a mobilitare la gioventù del mondo
per la causa di Dio e per l’amore di Cristo. Nella Chiesa ha creato – penso – un nuovo
amore per l’Eucaristia, ha creato un nuovo senso per la grandezza della Misericordia
Divina; e ha anche approfondito molto l’amore per la Madonna e ci ha così guidato
ad una interiorizzazione della fede e, allo stesso tempo, ad una maggiore efficienza.
Naturalmente bisogna menzionare – come sappiamo tutti - anche quanto sia stato essenziale
il suo contributo per i grandi cambiamenti nel mondo nell’89, per il crollo del cosiddetto
socialismo reale.
D. – Nel corso dei suoi incontri personali e dei colloqui
con Giovanni Paolo II, che cosa faceva maggior impressione a Vostra Santità? Potrebbe
raccontarci i suoi ultimi incontri con Giovanni Paolo II?
R. – Sì. Gli
ultimi due incontri li ho avuti, un primo, al Policlinico “Gemelli”, intorno al 5-6
febbraio; e, un secondo, il giorno prima della sua morte, nella sua stanza. Nel primo
incontro il Papa soffriva visibilmente, ma era pienamente lucido e molto presente.
Io era andato semplicemente per un incontro di lavoro, perché avevo bisogno di alcune
sue decisioni. Il Santo Padre - benché soffrendo – seguiva con grande attenzione quanto
dicevo. Mi comunicò in poche parole le sue decisioni, mi diede la sua benedizione,
mi salutò in tedesco, accordandomi tutta la sua fiducia e la sua amicizia. Per me
è stato molto commovente vedere, da una parte, come la sua sofferenza fosse in unione
col Signore sofferente, come portasse la sua sofferenza con il Signore e per il Signore;
e, dall’altra, vedere come risplendesse di una serenità interiore e di una lucidità
completa. Il secondo incontro è stato il giorno prima della morte: era ovviamente
più sofferente, visibilmente, circondato da medici ed amici. Era ancora molto lucido,
mi ha dato la sua benedizione. Non poteva più parlare molto. Per me questa sua pazienza
nel soffrire è stato un grande insegnamento, soprattutto riuscire a vedere e a sentire
come fosse nella mani di Dio e come si abbandonasse alla volontà di Dio. Nonostante
i dolori visibili, era sereno, perché era nelle mani dell’Amore Divino.