Via Crucis promossa dalla Caritas di Roma nel carcere di Rebibbia
Facendosi ultimo tra gli ultimi, Gesù ha scelto di abbracciare ogni uomo e rivelargli
che la morte, anche quella spirituale, è stata vinta. Può essere sintetizzato così
il messaggio che ha animato la Via Crucis organizzata nei giorni scorsi dalla Caritas
di Roma per i detenuti del Carcere di Rebibbia. Oltre 400 i partecipanti tra reclusi,
agenti della polizia penitenziaria, personale amministrativo e volontari della Caritas.
Ma cosa rappresenta per i carcerati la contemplazione delle quattordici stazioni della
Passione di Cristo? Paolo Ondarza lo ha chiesto al cappellano di Rebibbia don
Pier Sandro Spriano:
R. - Per
le persone detenute che sono qui - e questo me lo dicono francamente - si tratta di
un momento per ripercorrere la propria esperienza dolorosa di arresto, di giudizio
e di condanna.
D. - Cristo è stato carcerato: questo aspetto della
vita di Gesù tocca i detenuti?
R. - Sicuramente sì! Quando ti trovi
in un posto, dove ti viene tolto un po’ tutto, nonostante si tratti di un carcere
dove si vive decentemente, la mancanza di libertà, di affetti, di sessualità… ti fa
andare all’essenziale. Sicuramente il messaggio di Gesù non lascia insensibili..
D.
- Cristo è Risorto, ha spezzato le catene: quanto questa Buona Novella è recepita
come reale, concreta, dai detenuti?
R. - Qui in carcere ci sono alcuni
segni sempre visibili di questa Risurrezione:ad esempio pensiamo ai colloqui quotidiani
con i volontari: la loro presenza consente di uscire idealmente dalle mura per poter
ritornare a parlare di cose diverse dal carcere. Il carcere è un ambiente dove vieni
costretto a pensare solo a te stesso, alla tua sopravvivenza, ai tuoi problemi e dimentichi
le tue responsabilità. I segni di Risurrezione sono gli incontri con i volontari,
sono i momenti di preghiera comune, sono i momenti di catechesi. Se io in Chiesa annuncio
la parola “libertà”, mi chiedono: “Dimmi come posso fare a fare un passo verso la
libertà”. Questo significa che concretamente possiamo fare qualcosa di importante
qui: certo si tratta di piccole cose, ma che possono portare verso questa Risurrezione.
D. - Quando sui giornali si parla di carcere lo si fa per denunciare
il sovraffollamento degli istituti o l’aumento dei suicidi tra i detenuti: sono queste
le tematiche che fanno più “rumore” al di là delle sbarre?
R. - Sono
quelle che fanno più rumore, ma non rappresentano i veri problemi del carcere: è chiaro
che il sovraffollamento è un problema, come quando io vado su un treno affollato e
devo restare in piedi… I problemi ci sono perché in carcere vengono rinchiuse tante
persone fragilissime, con problemi psichici, con problemi familiari. Questa situazione
in una persona normale non significa molto, mentre in una persona fragile produce
gravi conseguenze. I suicidi, dunque, non li collego necessariamente con la vita del
carcere.
D. - Per questi casi di fragilità psichica a cui faceva riferimento,
bisognerebbe pensare ad altre soluzioni, alternative al carcere?
R.
- E’ ora di pensare a pene che non siano solo la carcerazione: questo è l’extrema
ratio, dice la nostra Costituzione. Dobbiamo pensare a pene alternative, che siano
più capaci di far pensare alla responsabilità del proprio reato. Invece qui in carcere
la responsabilità ti viene tolta: non pensi più al tuo reato, perché hai bisogno di
sopravvivere. Ci vorrebbero pene capaci di riconciliarsi con le vittime: la vittima
qui invece te la dimentichi perché tu non vieni chiamato a restituire nulla. Occorrerebbero
pene capaci di poter consentire il reinserimento in società: perché più si è chiusi
in una gabbia, più si diventa cattivi.
D. - Arriva l’estate, arriva
il caldo e la situazione nelle carceri diventa ancora più difficile…
R.
- Assolutamente sì. Siamo nella situazione in cui le istituzioni hanno abbandonato
il mondo penitenziario, dal punto di vista economico e dal punto di vista delle risorse
umane. Ogni tanto devo andare a celebrare la Messa, portandomi la lampadina in tasca,
perché non ci sono i soldi per cambiare una lampadina; non ci sono i soldi per dare
la carta igienica ai detenuti… Questo è un problema di politica.
D.
- Non ci sono soldi o ci si dimentica del carcere?
R. - Non c’è volontà,
non ci sono soldi e c’è il falso annuncio che “più carcere uguale più sicurezza”:
è esattamente il contrario! (mg)