Oggi, il Papa durante la trasmissione di RaiUno “A sua immagine”, ha risposto a sette
domande su Gesù formulate dai telespettatori. Di seguito il testo integrale:
D.
Santo Padre, voglio dirLe grazie per questa Sua presenza che ci riempie di gioia e
ci aiuta a ricordare che oggi è il giorno in cui Gesù dimostra nel modo più radicale
il Suo amore, cioè morendo in Croce da innocente. E proprio sul tema del dolore innocente
è la prima domanda che arriva da una bambina giapponese di sette anni, che Le dice:
“Mi chiamo Elena, sono giapponese ed ho sette anni. Ho tanta paura perché la casa
in cui mi sentivo sicura ha tremato, tanto tanto, e molti miei coetanei sono morti.
Non posso andare a giocare nel parco. Chiedo: perché devo avere tanta paura? Perché
i bambini devono avere tanta tristezza? Chiedo al Papa, che parla con Dio, di spiegarmelo”.
R. Cara Elena, ti saluto di cuore. Anche a me vengono le stesse domande:
perché è così? Perché voi dovete soffrire tanto, mentre altri vivono in comodità?
E non abbiamo le risposte, ma sappiamo che Gesù ha sofferto come voi, innocente, che
il Dio vero che si mostra in Gesù, sta dalla vostra parte. Questo mi sembra molto
importante, anche se non abbiamo risposte, se rimane la tristezza: Dio sta dalla vostra
parte, e siate sicuri che questo vi aiuterà. E un giorno potremo anche capire perché
era così. In questo momento mi sembra importante che sappiate: “Dio mi ama”, anche
se sembra che non mi conosca. No, mi ama, sta dalla mia parte, e dovete essere sicuri
che nel mondo, nell’universo, tanti sono con voi, pensano a voi, fanno per quanto
possono qualcosa per voi, per aiutarvi. Ed essere consapevoli che, un giorno, io capirò
che questa sofferenza non era vuota, non era invano, ma che dietro di essa c’è un
progetto buono, un progetto di amore. Non è un caso. Stai sicura, noi siamo con te,
con tutti i bambini giapponesi che soffrono, vogliamo aiutarvi con la preghiera, con
i nostri atti e siate sicuri che Dio vi aiuta. E in questo senso preghiamo insieme
perché per voi venga luce quanto prima.
D. La seconda domanda ci presenta
un calvario, perché abbiamo una mamma sotto la croce di un figlio. E’ italiana, si
chiama Maria Teresa questa mamma, e Le dice: “Santità, l’anima di questo mio figlio
Francesco, in stato vegetativo dal giorno di Pasqua 2009, ha abbandonato il suo corpo,
visto che lui non è più cosciente, o è ancora vicino a lui?”
R. Certamente
l’anima è ancora presente nel corpo. La situazione, forse, è come quella di una chitarra
le cui corde sono spezzate, così non si possono suonare. Così anche lo strumento del
corpo è fragile, è vulnerabile, e l’anima non può suonare, per così dire, ma rimane
presente. Io sono anche sicuro che quest’anima nascosta sente in profondità il vostro
amore, anche se non capisce i dettagli, le parole, eccetera, ma la presenza di un
amore la sente. E perciò questa vostra presenza, cari genitori, cara mamma, accanto
a lui, ore ed ore ogni giorno, è un atto vero di amore di grande valore, perché questa
presenza entra nella profondità di quest’anima nascosta e il vostro atto è, quindi,
anche una testimonianza di fede in Dio, di fede nell’uomo, di fede, diciamo di impegno
per la vita, di rispetto per la vita umana, anche nelle situazioni più tristi. Quindi
vi incoraggio a continuare, a sapere che fate un grande servizio all’umanità con questo
segno di fiducia, con questo segno di rispetto della vita, con questo amore per un
corpo lacerato, un’anima sofferente.
D. La terza domanda ci porta in Iraq,
tra i giovani di Baghdad, cristiani perseguitati che Le mandano questa domanda: “Salute
al Santo Padre dall’Iraq – dicono – Noi cristiani di Baghdad siamo stati perseguitati
come Gesù. Santo Padre, secondo Lei, in che modo possiamo aiutare la nostra comunità
cristiana a riconsiderare il desiderio di emigrare in altri Paesi, convincendola che
partire non è l’unica soluzione?”
R. Vorrei innanzitutto salutare di cuore
tutti i cristiani dell’Iraq, nostri fratelli, e devo dire che prego ogni giorno per
i cristiani in Iraq. Sono i nostri fratelli sofferenti, come anche in altre terre
del mondo, e quindi sono particolarmente vicini al nostro cuore e noi dobbiamo fare,
per quanto possiamo, il possibile perché possano rimanere, perché possano resistere
alla tentazione di migrare, perché è molto comprensibile nelle condizioni nelle quali
vivono. Io direi che è importante che noi siamo vicini a voi, cari fratelli in Iraq,
che noi vogliamo aiutarvi, anche quando venite, ricevervi realmente come fratelli.
E naturalmente, le istituzioni, tutti coloro che hanno realmente una possibilità di
fare qualcosa in Iraq per voi, devono farlo. La Santa Sede è in permanente contatto
con le diverse comunità, non solo con le comunità cattoliche, con le altre comunità
cristiane, ma anche con i fratelli musulmani, sia sciiti, sia sunniti. E vogliamo
fare un lavoro di riconciliazione, di comprensione, anche con il governo, aiutarlo
in questo cammino difficile di ricomporre una società lacerata. Perché questo è il
problema, che la società è profondamente divisa, lacerata, che non c’è più questa
consapevolezza: “Noi siamo nelle diversità un popolo con una storia comune, dove ognuno
ha il suo posto”. E devono ricostruire questa consapevolezza che, nella diversità,
hanno una storia in comune, una comune determinazione. E noi vogliamo, in dialogo,
proprio con i diversi gruppi, aiutare il processo di ricostruzione e incoraggiare
voi, cari fratelli cristiani in Iraq, di avere fiducia, di avere pazienza, di avere
fiducia in Dio, di collaborare in questo processo difficile. Siate sicuri della nostra
preghiera.
D. La prossima domanda Le viene rivolta da una donna musulmana
della Costa d’Avorio, un Paese in guerra da anni. Questa signora, si chiama Bintù,
e Le manda un saluto in arabo che suona così: “Che Dio sia in mezzo a tutte le parole
che ci diremo e che Dio sia con te”. È un’espressione che loro usano quando cominciano
un discorso. E poi continua in francese: “Caro Santo Padre, qui in Costa d’Avorio
abbiamo sempre vissuto in armonia tra cristiani e musulmani. Le famiglie sono spesso
formate da membri di entrambe le religioni; esiste anche una diversità di etnie, ma
non abbiamo mai avuto problemi. Ora tutto è cambiato: la crisi che viviamo, causata
dalla politica, sta seminando divisioni. Quanti innocenti hanno perso la vita! Quanti
sfollati, quante mamme e quanti bambini traumatizzati! I messaggeri hanno esortato
alla pace, i profeti hanno esortato alla pace. Gesù è un uomo di pace. Lei, in quanto
ambasciatore di Gesù, cosa consiglierebbe per il nostro Paese?"
R. Vorrei
rispondere al saluto: Dio sia anche con te, ti aiuti sempre. E devo dire che ho ricevuto
lettere laceranti dalla Costa d'Avorio, dove vedo tutta la tristezza, la profondità
della sofferenza, e rimango triste che possiamo fare così poco. Possiamo fare una
cosa, sempre: essere in preghiera con voi, e in quanto sono possibili, faremo opere
di carità e soprattutto vogliamo aiutare, secondo le nostre possibilità, i contatti
politici, umani. Ho incaricato il card. Turkson, che è presidente del nostro Consiglio
Giustizia e Pace di andare in Costa d’Avorio e di cercare di mediare, di parlare con
i diversi gruppi, con le diverse persone per incoraggiare un nuovo inizio. E soprattutto
vogliamo far sentire la voce di Gesù, che anche Lei crede come profeta. Lui era sempre
l’uomo della pace. Ci si poteva aspettare che, quando Dio viene in terra, sarà un
uomo di grande forza, distruggerebbe le potenze avverse, che sarebbe un uomo di una
violenza forte come strumento di pace. Niente di questo: è venuto debole, è venuto
solo con la forza dell’amore, totalmente senza violenza fino ad andare alla croce.
E questo ci mostra il vero volto di Dio, che la violenza non viene mai da Dio, mai
aiuta a dare le cose buone, ma è un mezzo distruttivo e non è il cammino per uscire
dalle difficoltà. Quindi è una forte voce contro ogni tipo di violenza. E invito fortemente
tutte le parti a rinunciare alla violenza, a cercare le vie della pace. Non potete
servire la ricomposizione del vostro popolo con mezzi di violenza, anche se pensate
di avere ragione. L’unica via è rinunciare alla violenza, ricominciare con il dialogo,
con tentativi di trovare insieme la pace, con la nuova attenzione l’uno per l’altro,
con la nuova disponibilità ad aprirsi l’uno all’altro. E questo, cara Signora, è il
vero messaggio di Gesù: cercate la pace con i mezzi della pace e lasciate la violenza.
Noi preghiamo per voi, che tutti i componenti della vostra società sentano questa
voce di Gesù e che così ritorni la pace e la comunione.
D. Santo Padre,
la prossima domanda è sul tema della morte e della Risurrezione di Gesù, e arriva
dall’Italia. Gliela leggo: “Santità, che cosa fa Gesù nel lasso di tempo tra la morte
e la Risurrezione? E visto che nella recita del Credo si dice che Gesù, dopo la morte,
discese negli Inferi, possiamo pensare che sarà una cosa che accadrà anche a noi,
dopo la morte, prima di salire al Cielo?”
R. Innanzitutto, questa discesa
dell’anima di Gesù non si deve immaginare come un viaggio geografico, locale, da un
continente all’altro. È un viaggio dell’anima. Dobbiamo tener presente che l’anima
di Gesù tocca sempre il Padre, è sempre in contatto con il Padre, ma nello stesso
tempo quest’anima umana si estende fino agli ultimi confini dell’essere umano. In
questo senso va in profondità, va ai perduti, va a tutti quanti non sono arrivati
alla meta della loro vita, e trascende così i continenti del passato. Questa parola
della discesa del Signore agli Inferi vuol soprattutto dire che anche il passato è
raggiunto da Gesù, che l’efficacia della Redenzione non comincia nell’anno zero o
trenta, ma va anche al passato, abbraccia il passato, tutti gli uomini di tutti i
tempi. I Padri dicono, con un’immagine molto bella, che Gesù prende per mano Adamo
ed Eva, cioè l’umanità, e la guida avanti, la guida in alto. E crea così l’accesso
a Dio, perché l’uomo, di per sé, non può arrivare fino all’altezza di Dio. Lui stesso,
essendo uomo, prendendo in mano l’uomo, apre l’accesso, apre cosa? La realtà che noi
chiamiamo Cielo. Quindi questa discesa agli Inferi, cioè nelle profondità dell’essere
umano, nelle profondità del passato dell’umanità, è una parte essenziale della missione
di Gesù, della sua missione di Redentore e non si applica a noi. La nostra vita è
diversa, noi siamo già redenti dal Signore e noi arriviamo davanti al volto del Giudice,
dopo la nostra morte, sotto lo sguardo di Gesù, e questo sguardo da una parte sarà
purificante: penso che tutti noi, in maggiore o minore misura, avremo bisogno di purificazione.
Lo sguardo di Gesù ci purifica e poi ci rende capaci di vivere con Dio, di vivere
con i Santi, di vivere soprattutto in comunione con i nostri cari che ci hanno preceduto.
D. Anche la prossima domanda è sul tema della Risurrezione e arriva dall’Italia:
“Santità, quando le donne giungono al sepolcro, la domenica dopo la morte di Gesù,
non riconoscono il Maestro, lo confondono con un altro. Succede anche agli Apostoli:
Gesù deve mostrare le ferite, spezzare il pane per essere riconosciuto, appunto, dai
gesti. È un corpo vero, di carne, ma anche un corpo glorioso. Il fatto che il suo
corpo risorto non abbia le stesse fattezze di quello di prima, che cosa vuol dire?
Cosa significa, esattamente, corpo glorioso? E la Risurrezione sarà per noi così?”
R.
Naturalmente, non possiamo definire il corpo glorioso perché sta oltre le nostre esperienze.
Possiamo solo registrare i segni che Gesù ci ha dato per capire almeno un po’ in quale
direzione dobbiamo cercare questa realtà. Primo segno: la tomba è vuota. Cioè, Gesù
non ha lasciato il suo corpo alla corruzione, ci ha mostrato che anche la materia
è destinata all’eternità, che realmente è risorto, che non rimane una cosa perduta.
Gesù ha preso anche la materia con sé, e così la materia ha anche la promessa dell’eternità.
Ma poi ha assunto questa materia in una nuova condizione di vita, questo è il secondo
punto: Gesù non muore più, cioè sta sopra le leggi della biologia, della fisica, perché
sottomesso a queste uno muore. Quindi c’è una condizione nuova, diversa, che noi non
conosciamo, ma che si mostra nel fatto di Gesù, ed è la grande promessa per noi tutti
che c’è un mondo nuovo, una vita nuova, verso la quale noi siamo in cammino. E, essendo
in queste condizioni, Gesù ha la possibilità di farsi palpare, di dare la mano ai
suoi, di mangiare con i suoi, ma tuttavia sta sopra le condizioni della vita biologica,
come noi la viviamo. E sappiamo che, da una parte, è un vero uomo, non un fantasma,
che vive una vera vita, ma una vita nuova che non è più sottomessa alla morte e che
è la nostra grande promessa. È importante capire questo, almeno in quanto si può,
per l’Eucaristia: nell’Eucaristia, il Signore ci dona il suo corpo glorioso, non ci
dona carne da mangiare nel senso della biologia, ci dà se stesso, questa novità che
Lui è, entra nel nostro essere uomini, nel nostro, nel mio essere persona, come persona,
e ci tocca interiormente con il suo essere, così che possiamo lasciarci penetrare
dalla sua presenza, trasformare nella sua presenza. E’ un punto importante, perché
così siamo già in contatto con questa nuova vita, questo nuovo tipo di vita, essendo
Lui entrato in me, e io sono uscito da me e mi estendo verso una nuova dimensione
di vita. Io penso che questo aspetto della promessa, della realtà che Lui si dà a
me e mi tira fuori da me, in alto, è il punto più importante: non si tratta di registrare
cose che non possiamo capire, ma di essere in cammino verso la novità che comincia,
sempre, di nuovo, nell’Eucaristia.
D. Santo Padre, l’ultima domanda
è su Maria. Sotto la croce, assistiamo ad un dialogo toccante tra Gesù, sua madre
e Giovanni, nel quale Gesù dice a Maria: “Ecco tuo Figlio”, e a Giovanni: “Ecco tua
madre”. Nel suo ultimo libro, “Gesù di Nazaret”, Lei lo definisce “un’ultima disposizione
di Gesù”. Come dobbiamo intendere queste parole? Che significato avevano in quel momento
e che significato hanno oggi? E in tema di affidamento, ha in cuore di rinnovare una
consacrazione alla Vergine all’inizio di questo nuovo millennio?
R. Queste
parole di Gesù sono soprattutto un atto molto umano. Vediamo Gesù come vero uomo che
fa un atto di uomo, un atto di amore per la madre e affida la madre al giovane Giovanni
perché sia sicura. Una donna sola, in Oriente, in quel tempo, era in una situazione
impossibile. Affida la mamma a questo giovane e al giovane dà la mamma, quindi Gesù
realmente agisce da uomo con un sentimento profondamente umano. Questo mi sembra molto
bello, molto importante, che prima di ogni teologia vediamo in questo la vera umanità,
il vero umanesimo di Gesù. Ma naturalmente questo attua diverse dimensioni, non riguarda
solo questo momento, ma concerne tutta la storia. In Giovanni Gesù affida tutti noi,
tutta la Chiesa, tutti i discepoli futuri, alla madre e la madre a noi. E questo si
è realizzato nel corso della storia: sempre più l’umanità e i cristiani hanno capito
che la madre di Gesù è la loro madre. E sempre più si sono affidati alla Madre: pensiamo
ai grandi santuari, pensiamo a questa devozione per Maria dove sempre più la gente
sente “Questa è la Madre”. E anche alcuni che quasi hanno difficoltà di accesso a
Gesù nella sua grandezza di Figlio di Dio, si affidano senza difficoltà alla Madre.
Qualcuno dice: “Ma questo non ha fondamento biblico!”. Qui risponderei con San Gregorio
Magno: “Con il leggere - egli dice - crescono le parole della Scrittura”. Cioè, si
sviluppano nella realtà, crescono, e sempre più nella storia si sviluppa questa Parola.
Vediamo come tutti possiamo essere grati perché la Madre c’è realmente, a noi tutti
è data una madre. E possiamo con grande fiducia andare da questa Madre, che anche
per ognuno dei cristiani è sua Madre. E d’altra parte vale anche che la Madre esprime
pure la Chiesa. Non possiamo essere cristiani da soli, con un cristianesimo costruito
secondo la mia idea. La Madre è immagine della Chiesa, della Madre Chiesa, e affidandoci
a Maria dobbiamo anche affidarci alla Chiesa, vivere la Chiesa, essere la Chiesa con
Maria. E così arrivo al punto dell’affidamento: i Papi – sia Pio XII, sia Paolo VI,
sia Giovanni Paolo II – hanno fatto un grande atto di affidamento alla Madonna e mi
sembra, come gesto davanti all’umanità, davanti a Maria stessa, era un gesto molto
importante. Io penso che adesso sia importante di interiorizzare questo atto, di lasciarci
penetrare, di realizzarlo in noi stessi. In questo senso, sono andato in alcuni grandi
santuari mariani nel mondo: Lourdes, Fatima, Czestochowa, Altötting…, sempre con
questo senso di concretizzare, di interiorizzare questo atto di affidamento, perché
diventi realmente il nostro atto. Penso che l’atto grande, pubblico, sia stato fatto.
Forse un giorno sarà necessario ripeterlo, ma al momento mi sembra più importante
viverlo, realizzarlo, entrare in questo affidamento, perché sia realmente nostro.
Per esempio, a Fatima ho visto come le migliaia di persone presenti sono realmente
entrate in questo affidamento, si sono affidate, hanno concretizzato in se stesse,
per se stesse, questo affidamento. Così esso diventa realtà nella Chiesa vivente e
così cresce anche la Chiesa. L’affidamento comune a Maria, il lasciarsi tutti penetrare
da questa presenza e formare, entrare in comunione con Maria, ci rende Chiesa, ci
rende, insieme con Maria, realmente questa sposa di Cristo. Quindi, al momento non
avrei l’intenzione di un nuovo pubblico affidamento, ma tanto più vorrei invitare
ad entrare in questo affidamento già fatto, perché sia realtà vissuta da noi ogni
giorno e cresca così una Chiesa realmente mariana, che è Madre e Sposa e Figlia di
Gesù.