Siria: le proteste si estendono nel Paese. Almeno 60 i morti
Sono almeno 60 le persone uccise durante le manifestazioni in Siria di oggi, giorno
ribattezzato dall’opposizione "venerdì Santo". Si tratta del bilancio più alto in
cinque settimane di proteste anti-governative, nonostante la decisione del presidente
Assad di revocare la legge di emergenza in vigore da oltre mezzo secolo. Ad Eric
Salerno, esperto di Medio oriente del quotidiano Il Messaggero Stefano Leszczynski
ha chiesto perché l’abrogazione dello stato d’emergenza non sia stata accolta
positivamente.
R. – La revoca
della legge sull’emergenza lascia spazio alla repressione, perché se il regime vuole
reprimere trova altri sistemi, che sono leggi normali di controllo delle dimostrazioni
pubbliche. Cambia, quindi, il nome, ma non cambia la sostanza. Non basta ai siriani,
questo è evidente, perché ci sono anche altre questioni legate più alla vita quotidiana,
all’economia, alla gestione delle minoranze o delle maggioranze, qualche volta, visto
che il regime siriano è un regime di minoranza e non di maggioranza nel Paese.
D.
– C’è il rischio che la situazione siriana evolva sulla scia di quella libica?
R.
– Sì, certo, perché sia la Libia che la Siria hanno delle componenti tribali molto
importanti. Io dico tribali per dire anche nazionali, perché in Siria abbiamo i curdi
da una parte e abbiamo le popolazioni del Sud che non si riconoscono per certi versi
nelle popolazioni del Nord. Il rischio per la Siria è che le tensioni diventino tensioni
locali, che scoppino a prescindere da quello che sta succedendo a Damasco, da quello
che dice di voler cambiare Assad.
D. – L’Occidente distratto dalla
situazione in Libia si sta occupando poco della Siria. Sta commettendo un nuovo errore
in Medio Oriente?
R. – Io credo che l’Occidente si stia occupando della
Libia per non occuparsi di altro. Ha trovato il modo di interessarsi ad una cosa che
piace alla Francia, che piace all’Inghilterra, che ha trascinato dentro tutti – compresi
gli americani – e questo dà l’alibi di essere impegnati a difesa dei diritti civili,
dei diritti dei libici, evitando in qualche modo di occuparsi di quello che sta succedendo
nel resto dell’area, che è un’area che potrebbe esplodere.
D. – Anche
Israele però ha parlato poco, è intervenuto poco sulla questione. Come mai?
R.
– Perché Israele, tutto sommato, vuole Assad. E’ vero che la Siria con Assad ha fatto
la guerra, però è vero anche che la Siria, dopo che ha perso le alture del Golan e
si è arrivati ad un armistizio, non ha più agito direttamente contro Israele. Una
parte dei patti erano validi e soprattutto i siriani hanno rispettato un rapporto
di forza che per Israele ha funzionato. Preferiscono Assad a tutto quello che di incognito
potrebbe arrivare al suo posto. (ap)