Libia: l'ex candidato Usa alle presidenziali McCain in visita a Bengasi
La battaglia in Libia è in una fase di stallo, nonostante gli attacchi della Nato
abbiano ridotto le truppe di Gheddafi del 30-40%. Così il capo di stato maggiore americano
Mullen, all’indomani della decisione della Casa Bianca di impiegare droni nel
Paese africano. Oggi, intanto, a Bengasi è arrivato il senatore Usa, John McCain,
avversario di Obama alle ultime presidenziali. Il servizio è di Eugenio Bonanata:
E’ il politico
americano di più alto rango ad arrivare nella roccaforte dei ribelli dall’inizio del
conflitto con l’obiettivo di incontrare i dirigenti del Consiglio nazionale di transizione.
Giunto a Bengasi - in lutto per la morte dei due fotoreporter americano e britannico
avvenuta nei giorni scorsi a Misurata - è stato acclamato da decine di persone che
inneggiavano slogan pro-Usa. Tuttavia non ha rilasciato alcuna dichiarazione e si
è diretto subito al quartier generale degli insorti. Nessuna ulteriore precisazione,
dunque, circa l’utilizzo degli aerei senza pilota autorizzato ieri dall’amministrazione
statunitense: secondo le informazioni diffuse dalla Casa Bianca i velivoli – che sarebbero
dovuti entrare in azione già ieri - saranno capaci di colpire obiettivi con maggiore
precisione, non cambieranno la natura della missione Usa e serviranno per ragioni
umanitarie. I ribelli apprezzano la decisione statunitense ma hanno chiarito che non
vogliono truppe straniere al loro fianco. L’ipotesi, suggerita anche dall’invio di
addestratori da Italia, Francia e Gran Bretagna, è stata smentita dalle cancellerie
europee e non piace affatto alla Russia, che, stamattina, assieme alla Grecia, ha
offerto la propria mediazione nel conflitto. Gheddafi, invece, teme l’invasione di
terra e sta armando i civili in molte città. La tv di Stato, stamattina, ha lamentato
la morte di almeno nove civili in un raid aereo della Nato avvenuto la notte scorsa
sulla città di Sirte. L’offensiva dei ribelli prosegue sul fronte occidentale, verso
la tunisia: sono almeno 100 i soldati governativi, tra cui una decina di ufficiali,
che nelle ultime ore hanno deposto le armi e hanno varcato il confine per consegnarsi
alle autorità di Tunisi. Sul versante umanitario una nave carica di aiuti dell’Unicef
è arrivata nel porto di Misurata da dove ieri è partita un’imbarcazione turca che
ha portato 900 profughi a Bengasi.
Potrebbe, dunque, cambiare volto la
guerra in Libia, con l’arrivo di istruttori militari da Italia, Gran Bretagna e Francia
e l’invio di droni statunitensi. Su questa nuova fase militare in atto, Salvatore
Sabatino ha intervistato Andrea Margelletti, presidente del Centro Studi
Internazionali, ed autore del libro: “Un mondo in bilico”, dedicato in parte anche
alle crisi in Nord Africa:
R. - Per
quanto attiene all’invio degli istruttori militari, se i numeri saranno confermati
e quindi poche decine di persone, ritengo che non cambieranno assolutamente gli scenari
di conflitto in quell’area e questo proprio perché è un gesto politico: non è un’operazione
massiccia. Si è parlato anche di dare le armi agli insorti, ma per quante gliene possano
dare di moderne, se poi non le sanno usare, il problema continua a non essere risolvibile...
Cosa completamente diversa, invece, sono i drone armati americani perché sono velivoli
senza pilota, studiati essenzialmente per eliminare le leadership: sono stati utilizzati
e continuano ad essere utilizzati con grande efficacia nel conflitto afghano contro
i leader di al Qaeda. Questo potrebbe prevedere un’“operazione di decapitazione” -
così si dice in termini militari - della leadership libica e allora lo scenario, a
quel punto, sarebbe davvero diverso.
D. - Eppure i drone sono stati
al centro delle polemiche, proprio in Afghanistan, per i numerosi civili colpiti per
sbaglio. Perché allora portarli anche in Libia?
R. - Proprio perché
sono strumenti che vengono guidati dai più alti vertici: c’è una sorta di “target
list” delle persone da colpire e sono selettivamente individuate dai vertici politico-militari
degli Stati Uniti. Se così fosse anche nello scenario libico, vorrebbe dire che gli
Stati Uniti, perlomeno, non andrebbero più a caccia dei singoli carri armati, ma andrebbero
a caccia di chi dirigere la resistenza contro gli insorti.
D. - Dall’inizio
della missione internazionale in Libia, gli Stati Uniti hanno sempre voluto mantenere
un ruolo di secondo piano: stanno cambiando le cose?
R. - Direi che
in realtà no. Per gli americani, il Mediterraneo è un teatro periferico; per gli Stati
Uniti quello che conta è l’ambito del Pacifico, la zona centroasiatica e il Medio
Oriente: il Nord Africa e il Mediterraneo è soprattutto considerato - da loro - un
contesto europeo e il fatto che non abbiano neanche rischiarato una portaerei durante
questa crisi, lascia vedere come gli assetti più pregiati li riservino per altri ambiti
operativi. (mg)