Pubblichiamo il testo integrale della catechesi del Papa all’udienza generale dedicata
al Triduo Pasquale:
Cari fratelli e sorelle,
siamo ormai giunti
al cuore della Settimana Santa, compimento del cammino quaresimale. Domani entreremo
nel Triduo Pasquale, i tre giorni santi in cui la Chiesa fa memoria del mistero della
passione, morte e risurrezione di Gesù. Il Figlio di Dio, dopo essersi fatto uomo
in obbedienza al Padre, divenendo in tutto simile a noi eccetto il peccato (cfr Eb
4,15), ha accettato di compiere fino in fondo la sua volontà, di affrontare per amore
nostro la passione e la croce, per farci partecipi della sua risurrezione, affinché
in Lui e per Lui possiamo vivere per sempre, nella consolazione e nella pace. Vi esorto
pertanto ad accogliere questo mistero di salvezza, a partecipare intensamente al Triduo
pasquale, fulcro dell’intero anno liturgico e momento di particolare grazia per ogni
cristiano; vi invito a cercare in questi giorni il raccoglimento e la preghiera, così
da attingere più profondamente a questa sorgente di grazia. A tale proposito, in vista
delle imminenti festività, ogni cristiano è invitato a celebrare il sacramento della
Riconciliazione, momento di speciale adesione alla morte e risurrezione di Cristo,
per poter partecipare con maggiore frutto alla Santa Pasqua.
Il Giovedì
Santo è il giorno in cui si fa memoria dell’istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio
ministeriale. In mattinata, ciascuna comunità diocesana, radunata nella Chiesa Cattedrale
attorno al Vescovo, celebra la Messa crismale, nella quale vengono benedetti il sacro
Crisma, l’Olio dei catecumeni e l’Olio degli infermi. A partire dal Triduo pasquale
e per l’intero anno liturgico, questi Oli verranno adoperati per i Sacramenti del
Battesimo, della Confermazione, delle Ordinazioni sacerdotale ed episcopale e dell’Unzione
degli Infermi; in ciò si evidenzia come la salvezza, trasmessa dai segni sacramentali,
scaturisca proprio dal Mistero pasquale di Cristo; infatti, noi siamo redenti con
la sua morte e risurrezione e, mediante i Sacramenti, attingiamo a quella medesima
sorgente salvifica. Durante la Messa crismale, domani, avviene anche il rinnovo delle
promesse sacerdotali. Nel mondo intero, ogni sacerdote rinnova gli impegni che si
è assunto nel giorno dell’Ordinazione, per essere totalmente consacrato a Cristo nell’esercizio
del sacro ministero a servizio dei fratelli. Accompagniamo i nostri sacerdoti con
la nostra preghiera.
Nel pomeriggio del Giovedì Santo inizia effettivamente
il Triduo pasquale, con la memoria dell’Ultima Cena, nella quale Gesù istituì il Memoriale
della sua Pasqua, dando compimento al rito pasquale ebraico. Secondo la tradizione,
ogni famiglia ebrea, radunata a mensa nella festa di Pasqua, mangia l’agnello arrostito,
facendo memoria della liberazione degli Israeliti dalla schiavitù d’Egitto; così nel
cenacolo, consapevole della sua morte imminente, Gesù, vero Agnello pasquale, offre
sé stesso per la nostra salvezza (cfr 1Cor 5,7). Pronunciando la benedizione sul pane
e sul vino, Egli anticipa il sacrificio della croce e manifesta l’intenzione di perpetuare
la sua presenza in mezzo ai discepoli: sotto le specie del pane e del vino, Egli si
rende presente in modo reale col suo corpo donato e col suo sangue versato. Durante
l’Ultima Cena, gli Apostoli vengono costituiti ministri di questo Sacramento di salvezza;
ad essi Gesù lava i piedi (cfr Gv 13,1-25), invitandoli ad amarsi gli uni gli altri
come Lui li ha amati, dando la vita per loro. Ripetendo questo gesto nella Liturgia,
anche noi siamo chiamati a testimoniare fattivamente l’amore del nostro Redentore.
Il
Giovedì Santo, infine, si chiude con l’Adorazione eucaristica, nel ricordo dell’agonia
del Signore nell’orto del Getsemani. Lasciato il cenacolo, Egli si ritirò a pregare,
da solo, al cospetto del Padre. In quel momento di comunione profonda, i Vangeli raccontano
che Gesù sperimentò una grande angoscia, una sofferenza tale da fargli sudare sangue
(cfr Mt 26,38). Nella consapevolezza della sua imminente morte in croce, Egli sente
una grande angoscia e la vicinanza della morte. In questa situazione, appare anche
un elemento di grande importanza per tutta la Chiesa. Gesù dice ai suoi: rimanete
qui e vigilate; e questo appello alla vigilanza concerne proprio questo momento di
angoscia, di minaccia, nella quale arriverà il traditore, ma concerne tutta la storia
della Chiesa. E' un messaggio permanente per tutti i tempi, perché la sonnolenza dei
discepoli era non solo il problema di quel momento, ma è il problema di tutta la storia.
La questione è in che cosa consiste questa sonnolenza, in che cosa consisterebbe la
vigilanza alla quale il Signore ci invita. Direi che la sonnolenza dei discepoli lungo
la storia è una certa insensibilità dell'anima per il potere del male, un’insensibilità
per tutto il male del mondo. Noi non vogliamo lasciarci turbare troppo da queste cose,
vogliamo dimenticarle: pensiamo che forse non sarà così grave, e dimentichiamo. E
non è soltanto insensibilità per il male, mentre dovremmo vegliare per fare il bene,
per lottare per la forza del bene. È insensibilità per Dio: questa è la nostra vera
sonnolenza; questa insensibilità per la presenza di Dio che ci rende insensibili anche
per il male. Non sentiamo Dio - ci disturberebbe - e così non sentiamo, naturalmente,
anche la forza del male e rimaniamo sulla strada della nostra comodità. L'adorazione
notturna del Giovedì Santo, l'essere vigili col Signore, dovrebbe essere proprio il
momento per farci riflettere sulla sonnolenza dei discepoli, dei difensori di Gesù,
degli apostoli, di noi, che non vediamo, non vogliamo vedere tutta la forza del male,
e che non vogliamo entrare nella sua passione per il bene, per la presenza di Dio
nel mondo, per l'amore del prossimo e di Dio.
Poi, il Signore comincia
a pregare. I tre apostoli - Pietro, Giacomo, Giovanni - dormono, ma qualche volta
si svegliano e sentono il ritornello di questa preghiera del Signore: "Non la mia
volontà, ma la tua sia realizzata". Che cos'è questa mia volontà, che cos'è questa
tua volontà, di cui parla il Signore? La mia volontà è "che non dovrebbe morire",
che gli sia risparmiato questo calice della sofferenza: è la volontà umana, della
natura umana, e Cristo sente, con tutta la consapevolezza del suo essere, la vita,
l'abisso della morte, il terrore del nulla, questa minaccia della sofferenza. E Lui
più di noi, che abbiamo questa naturale avversione contro la morte, questa paura naturale
della morte, ancora più di noi, sente l'abisso del male. Sente, con la morte, anche
tutta la sofferenza dell'umanità. Sente che tutto questo è il calice che deve bere,
deve far bere a se stesso, accettare il male del mondo, tutto ciò che è terribile,
l’avversione contro Dio, tutto il peccato. E possiamo capire come Gesù, con la sua
anima umana, sia terrorizzato davanti a questa realtà, che percepisce in tutta la
sua crudeltà: la mia volontà sarebbe non bere il calice, ma la mia volontà è subordinata
alla tua volontà, alla volontà di Dio, alla volontà del Padre, che è anche la vera
volontà del Figlio. E così Gesù trasforma, in questa preghiera, l’avversione naturale,
l’avversione contro il calice, contro la sua missione di morire per noi; trasforma
questa sua volontà naturale in volontà di Dio, in un "sì" alla volontà di Dio. L'uomo
di per sé è tentato di opporsi alla volontà di Dio, di avere l’intenzione di seguire
la propria volontà, di sentirsi libero solo se è autonomo; oppone la propria autonomia
contro l’eteronomia di seguire la volontà di Dio. Questo è tutto il dramma dell'umanità.
Ma in verità questa autonomia è sbagliata e questo entrare nella volontà di Dio non
è un’opposizione a sé, non è una schiavitù che violenta la mia volontà, ma è entrare
nella verità e nell'amore, nel bene. E Gesù tira la nostra volontà, che si oppone
alla volontà di Dio, che cerca l'autonomia, tira questa nostra volontà in alto, verso
la volontà di Dio. Questo è il dramma della nostra redenzione, che Gesù tira in alto
la nostra volontà, tutta la nostra avversione contro la volontà di Dio e la nostra
avversione contro la morte e il peccato, e la unisce con la volontà del Padre: "Non
la mia volontà ma la tua". In questa trasformazione del "no" in "sì", in questo inserimento
della volontà creaturale nella volontà del Padre, Egli trasforma l'umanità e ci redime.
E ci invita a entrare in questo suo movimento: uscire dal nostro "no" ed entrare nel
"sì" del Figlio. La mia volontà c'è, ma decisiva è la volontà del Padre, perché questa
è la verità e l'amore.
Un ulteriore elemento di questa preghiera mi
sembra importante. I tre testimoni hanno conservato - come appare nella Sacra Scrittura
- la parola ebraica o aramaica con la quale il Signore ha parlato al Padre, lo ha
chiamato: "Abbà", padre. Ma questa formula, "Abbà", è una forma familiare del termine
padre, una forma che si usa solo in famiglia, che non si è mai usata nei confronti
di Dio. Qui vediamo nell'intimo di Gesù come parla in famiglia, parla veramente come
Figlio col Padre. Vediamo il mistero trinitario: il Figlio che parla col Padre e redime
l'umanità.
Ancora un’osservazione. La Lettera agli Ebrei ci ha dato
una profonda interpretazione di questa preghiera del Signore, di questo dramma del
Getsemani. Dice: queste lacrime di Gesù, questa preghiera, queste grida di Gesù, questa
angoscia, tutto questo non è semplicemente una concessione alla debolezza della carne,
come si potrebbe dire. Proprio così realizza l'incarico del Sommo Sacerdote, perché
il Sommo Sacerdote deve portare l'essere umano, con tutti i suoi problemi e le sofferenze,
all'altezza di Dio. E la Lettera agli Ebrei dice: con tutte queste grida, lacrime,
sofferenze, preghiere, il Signore ha portato la nostra realtà a Dio (cfr Eb 5,7ss).
E usa questa parola greca "prosferein", che è il termine tecnico per quanto deve fare
il Sommo Sacerdote per offrire, per portare in alto le sue mani.
Proprio
in questo dramma del Getsemani, dove sembra che la forza di Dio non sia più presente,
Gesù realizza la funzione del Sommo Sacerdote. E dice inoltre che in questo atto di
obbedienza, cioè di conformazione della volontà naturale umana alla volontà di Dio,
viene perfezionato come sacerdote. E usa di nuovo la parola tecnica per ordinare sacerdote.
Proprio così diventa realmente il Sommo Sacerdote dell'umanità e apre così il cielo
e la porta alla risurrezione.
Se riflettiamo su questo dramma del Getsemani,
possiamo anche vedere il grande contrasto tra Gesù con la sua angoscia, con la sua
sofferenza, in confronto con il grande filosofo Socrate, che rimane pacifico, senza
perturbazione davanti alla morte. E sembra questo l'ideale. Possiamo ammirare questo
filosofo, ma la missione di Gesù era un'altra. La sua missione non era questa totale
indifferenza e libertà; la sua missione era portare in sé tutta la nostra sofferenza,
tutto il dramma umano. E perciò proprio questa umiliazione del Getsemani è essenziale
per la missione dell'Uomo-Dio. Egli porta in sé la nostra sofferenza, la nostra povertà,
e la trasforma secondo la volontà di Dio. E così apre le porte del cielo, apre il
cielo: questa tenda del Santissimo, che finora l’uomo ha chiuso contro Dio, è aperta
per questa sua sofferenza e obbedienza. Queste alcune osservazioni per il Giovedì
Santo, per la nostra celebrazione della notte del Giovedì Santo.
Il
Venerdì Santo faremo memoria della passione e della morte del Signore; adoreremo Cristo
Crocifisso, parteciperemo alle sue sofferenze con la penitenza e il digiuno. Volgendo
"lo sguardo a colui che hanno trafitto" (cfr Gv 19,37), potremo attingere dal suo
cuore squarciato che effonde sangue ed acqua come da una sorgente; da quel cuore da
cui scaturisce l’amore di Dio per ogni uomo riceviamo il suo Spirito. Accompagniamo
quindi nel Venerdì Santo anche noi Gesù che sale il Calvario, lasciamoci guidare da
Lui fino alla croce, riceviamo l’offerta del suo corpo immolato. Infine, nella notte
del Sabato Santo, celebreremo la solenne Veglia Pasquale, nella quale ci è annunciata
la risurrezione di Cristo, la sua vittoria definitiva sulla morte che ci interpella
ad essere in Lui uomini nuovi. Partecipando a questa santa Veglia, la Notte centrale
di tutto l’Anno Liturgico, faremo memoria del nostro Battesimo, nel quale anche noi
siamo stati sepolti con Cristo, per poter con Lui risorgere e partecipare al banchetto
del cielo (cfr Ap 19,7-9).
Cari amici, abbiamo cercato di comprendere
lo stato d’animo con cui Gesù ha vissuto il momento della prova estrema, per cogliere
ciò che orientava il suo agire. Il criterio che ha guidato ogni scelta di Gesù durante
tutta la sua vita è stata la ferma volontà di amare il Padre, di essere uno col Padre,
e di essergli fedele; questa decisione di corrispondere al suo amore lo ha spinto
ad abbracciare, in ogni singola circostanza, il progetto del Padre, a fare proprio
il disegno di amore affidatogli di ricapitolare ogni cosa in Lui, per ricondurre a
Lui ogni cosa. Nel rivivere il santo Triduo, disponiamoci ad accogliere anche noi
nella nostra vita la volontà di Dio, consapevoli che nella volontà di Dio, anche se
appare dura, in contrasto con le nostre intenzioni, si trova il nostro vero bene,
la via della vita. La Vergine Madre ci guidi in questo itinerario, e ci ottenga dal
suo Figlio divino la grazia di poter spendere la nostra vita per amore di Gesù, nel
servizio dei fratelli. Grazie.