Il Triduo Pasquale al centro dell'udienza generale. Il Papa: i cristiani non siano
sonnolenti di fronte al male nel mondo
All’udienza generale di oggi, in Piazza San Pietro, il Papa, sottolineando che “siamo
ormai giunti al cuore della Settimana Santa, compimento del cammino quaresimale”,
ha parlato del Triduo Pasquale, “i tre giorni santi in cui la Chiesa fa memoria del
mistero della passione, morte e risurrezione di Gesù. Il Figlio di Dio, dopo essersi
fatto uomo in obbedienza al Padre, divenendo in tutto simile a noi eccetto il peccato
(cfr Eb 4,15) – ha detto il Pontefice - ha accettato di compiere fino in fondo la
sua volontà, la volontà di affrontare per amore nostro la passione e la croce, per
farci partecipi della sua risurrezione, affinché in Lui e per Lui possiamo vivere
per sempre, nella consolazione e nella pace. Vi esorto pertanto ad accogliere questo
mistero di salvezza, a partecipare intensamente al Triduo pasquale, fulcro dell’intero
anno liturgico e momento di particolare grazia per ogni cristiano; vi invito a cercare
in questi giorni il raccoglimento e la preghiera, così da attingere più profondamente
a questa sorgente di grazia. A tale proposito, in vista delle imminenti festività,
ogni cristiano è invitato a celebrare il sacramento della Riconciliazione, momento
di speciale adesione alla morte e risurrezione di Cristo, per poter partecipare con
maggiore frutto alla Santa Pasqua”.
“Il Giovedì Santo – ha proseguito il Papa
- è il giorno in cui si fa memoria dell’istituzione dell’Eucaristia e del Sacerdozio
ministeriale. In mattinata, ciascuna comunità diocesana, radunata nella Chiesa Cattedrale
attorno al Vescovo, celebra la Messa crismale, nella quale vengono benedetti il sacro
Crisma, l’Olio dei catecumeni e l’Olio degli infermi. A partire dal Triduo pasquale
e per l’intero anno liturgico, questi Oli verranno adoperati per i Sacramenti del
Battesimo, della Confermazione, delle Ordinazioni sacerdotale ed episcopale e dell’Unzione
degli Infermi; in ciò si evidenzia come la salvezza, trasmessa dai segni sacramentali,
scaturisca proprio dal Mistero pasquale di Cristo; infatti, noi siamo redenti con
la sua morte e risurrezione e, mediante i Sacramenti, attingiamo a quella medesima
sorgente salvifica. Durante la Messa crismale avviene anche il rinnovo delle promesse
sacerdotali. Nel mondo intero, ogni sacerdote rinnova gli impegni che si è assunto
nel giorno dell’Ordinazione, per essere totalmente consacrato a Cristo nell’esercizio
del sacro ministero a servizio dei fratelli. Accompagniamo i nostri sacerdoti con
la preghiera”.
“Nel pomeriggio del Giovedì Santo – ha affermato - inizia effettivamente
il Triduo pasquale, con la memoria dell’Ultima Cena, nella quale Gesù istituì il Memoriale
della sua Pasqua, dando compimento al rito pasquale ebraico. Secondo la tradizione,
ogni famiglia ebrea, radunata a mensa nella festa di Pasqua, mangia l’agnello arrostito,
facendo memoria della liberazione degli Israeliti dalla schiavitù d’Egitto; così nel
cenacolo, consapevole della sua morte imminente, Gesù, vero Agnello pasquale, offre
sé stesso per la nostra salvezza (cfr 1Cor 5,7). Pronunciando la benedizione sul pane
e sul vino, Egli anticipa il sacrificio della croce e manifesta l’intenzione di perpetuare
la sua presenza in mezzo ai discepoli: sotto le specie del pane e del vino, Egli si
rende presente in modo reale col suo corpo donato e col suo sangue versato. Durante
l’Ultima Cena, gli Apostoli vengono costituiti ministri di questo Sacramento di salvezza;
ad essi Gesù lava i piedi (cfr Gv 13,1-25), invitandoli ad amarsi gli uni gli altri
come Lui li ha amati, dando la vita per loro. Ripetendo questo gesto nella Liturgia,
anche noi siamo chiamati a testimoniare fattivamente l’amore del nostro Redentore.
Il Giovedì Santo si chiude con l’Adorazione eucaristica, nel ricordo dell’agonia del
Signore nell’orto del Getsemani. Lasciato il cenacolo, Egli si ritirò a pregare, da
solo, al cospetto del Padre. In quel momento di comunione profonda, i Vangeli raccontano
che Gesù sperimentò una grande angoscia, una sofferenza tale da fargli sudare sangue
(cfr Mt 26,38)”.
Qui il Papa ha continuato la sua catechesi parlando a braccio.
Nella consapevolezza della sua imminente morte in croce – ha detto – Gesù sente una
grande angoscia per la vicinanza della morte. In questa situazione appare anche un
elemento di grande importanza per tutta la Chiesa: Gesù dice ai suoi: rimanete qui
e vigilate. Questo appello alla vigilanza – sottolinea - riguarda proprio questo momento
di angoscia, di minaccia, in cui arriverà il traditore, ma riguarda anche tutta la
storia della Chiesa: è un messaggio permanente per tutti tempi perché la sonnolenza
dei discepoli non era solo il problema di quel momento, è il problema di tutta la
storia. La questione – aggiunge il Pontefice - è in che cosa consista questa sonnolenza
e in che cosa consisterebbe la vigilanza alla quale il Signore ci invita. La sonnolenza
dei discepoli lungo la storia – osserva - è una certa insensibilità dell’anima verso
il potere del male, una insensibilità per tutto il male del mondo: non vogliamo lasciarci
turbare troppo da queste cose. E non è soltanto insensibilità verso quel male che
invece dovrebbe svegliarci per fare il bene, per lottare per la forza del bene: è
insensibilità verso Dio, questa nostra vera sonnolenza, questa insensibilità per la
presenza di Dio, che ci rende insensibili anche al male: non sentiamo Dio, ci disturberebbe
e non sentiamo naturalmente anche così la forza del male e rimaniamo sulla strada
della nostra comodità. L’adorazione notturna del Giovedì Santo, l’essere vigili per
il Signore – afferma il Papa - dovrebbe essere proprio il momento di farci pensare
alla sonnolenza dei discepoli, dei difensori di Gesù, degli apostoli, di noi che non
vediamo, non vogliamo vedere tutta la forza del male e che non vogliamo entrare nella
sua Passione, per il bene, per la presenza di Dio nel mondo, per l’amore del prossimo
e di Dio. Poi il Signore - aggiunge - comincia a pregare. I tre apostoli, Pietro,
Giacomo e Giovanni, dormono ma ogni tanto si svegliano e sentono la preghiera del
Signore: ‘non la mia volontà ma la tua sia realizzata’. Il Papa si chiede: che cosa
è questa mia volontà, che cosa è la volontà del Signore? La mia volontà – rileva -
è la volontà che non dovrebbe morire, che sia risparmiato questo calice della sofferenza;
è la volontà della natura umana e Cristo sente, con tutta la consapevolezza del suo
essere, la vita, l’abisso della morte, il terrore del niente, questa minaccia della
sofferenza. E lui, più di noi - che abbiamo questa naturale avversione contro la morte,
questa paura naturale della morte - ancora più di noi sente l’abisso del male, sente
con la morte anche tutta la sofferenza dell’umanità sente che tutto questo è il calice
che deve bere e fare bere, accettare in sé il male del mondo, tutta l’avversione contro
Dio, tutto il peccato. E possiamo capire come Gesù, con la sua anima umana, sia terrorizzato
davanti a questa realtà che percepisce con tutta la sua crudeltà; la volontà sarebbe
quella di non bere il calice. Ma la volontà del Padre – spiega - è anche la vera
volontà del Figlio. Così Gesù trasforma in questa preghiera l’avversione naturale,
l’avversione contro il calice, contro la sua missione di morire per noi, trasforma
questa sua volontà naturale in un sì alla volontà di Dio. L’uomo di per sé è tentato
di opporsi alla volontà di Dio per seguire la propria volontà, di sentirsi libero
solo se è autonomo; oppone la sua autonomia contro la eteronomia di seguire la volontà
di Dio. Questo – afferma - è tutto il dramma dell’umanità. Ma in verità questa autonomia
è sbagliata, questo entrare nella volontà di Dio non è una schiavitù che violenta
la mia volontà, ma è entrare nella verità e nell’amore, nel bene. Gesù – dice il Papa
- tira questa nostra volontà in su, verso la volontà di Dio e si unisce con la volontà
del Padre: ‘non la mia volontà, ma la tua’. In questa trasformazione del “no” al “sì”,
in questo inserimento della volontà creaturale nella volontà del Padre, trasforma
l’umanità e ci redime e ci invita ad entrare in questo suo movimento: uscire dal nostro
“no” al “sì” del Figlio, la mia volontà c’è, ma decisiva è la volontà del Padre, perché
questa è la verità e l’amore. Il Papa spiega quindi un elemento di questa preghiera:
i tre testimoni hanno conservato nella Sacra Scrittura la parola ebraico-aramaica
con la quale il Signore ha parlato al Padre. Lo ha chiamato “Abbà”, “Padre”. Ma questa
formula “abbà” è una formula familiare per dire “padre”, che si usa solo in famiglia
e che non è mai stata usata nei confronti di Dio. Qui vediamo – nota il Pontefice
- che Gesù parla come in famiglia, parla veramente come un figlio col padre; vediamo
il Mistero Trinitario: il Figlio che parla col Padre e redime l’umanità.
Il
Papa fa poi un’altra osservazione: in questo dramma del Getsemani, Gesù realizza l’incarico
del Sommo Sacerdote, perché il Sommo Sacerdote deve portare l’essere umano, con tutti
i suoi problemi e sofferenze, all’altezza di Dio. Proprio in questo dramma del Getsemani,
dove sembra che la forza di Dio non sia più presente, Gesù realizza la funzione del
Sommo Sacerdote e proprio così apre il cielo e la porta alla Resurrezione. Benedetto
XVI nota poi anche la grande differenza tra Gesù, con la sua angoscia e la sua sofferenza,
e il grande filosofo Socrate, che rimane pacifico e senza turbamenti davanti alla
morte. Possiamo ammirare questo filosofo – afferma - ma la missione di Gesù era un’altra:
la sua missione era portare in sé tutta la nostra sofferenza, tutto il dramma umano.
Perciò proprio quest’umiliazione del Getsemani è essenziale per la missione dell’uomo-Dio,
che porta in sé la nostra sofferenza, la nostra povertà e la trasforma secondo la
volontà di Dio: così apre le porte del cielo, apre in cielo questa tenda del Santissimo,
che finora ha chiuso l’uomo contro Dio, e ora è aperta attraverso questa sua sofferenza
e obbedienza.
“Il Venerdì Santo – ha proseguito il Papa tornando al testo
scritto - faremo memoria della passione e della morte del Signore; adoreremo Cristo
Crocifisso, parteciperemo alle sue sofferenze con la penitenza e il digiuno. Volgendo
“lo sguardo a colui che hanno trafitto” (cfr Gv 19,37), potremo attingere dal suo
cuore squarciato che effonde sangue ed acqua come da una sorgente; da quel cuore da
cui scaturisce l’amore di Dio per ogni uomo riceviamo il suo Spirito. Accompagniamo,
quindi nel Venerdì Santo, anche noi Gesù che sale il Calvario, lasciamoci guidare
da Lui fino alla croce, riceviamo l’offerta del suo corpo immolato. Infine, nella
notte del Sabato Santo, celebreremo la solenne Veglia Pasquale, nella quale ci è annunciata
la risurrezione di Cristo, la sua vittoria definitiva sulla morte che ci interpella
ad essere in Lui uomini nuovi. Partecipando a questa santa Veglia, la Notte centrale
di tutto l’Anno Liturgico, faremo memoria del nostro Battesimo, nel quale anche noi
siamo stati sepolti con Cristo, per poter con Lui risorgere e partecipare al banchetto
del cielo (cfr Ap 19,7-9)”.
“Cari amici – ha concluso Benedetto XVI - abbiamo
cercato insieme di comprendere lo stato d’animo con cui Gesù ha vissuto il momento
della prova estrema, per cogliere ciò che orientava il suo agire. Il criterio che
ha guidato ogni scelta di Gesù durante tutta la sua vita è stata la sua ferma volontà
di amare il Padre, di essere ‘uno’ col Padre, di essergli fedele; questa decisione
di corrispondere al suo amore lo ha spinto ad abbracciare, in ogni singola circostanza,
il progetto del Padre, a fare proprio il disegno di amore affidatogli di ricapitolare
ogni cosa in Lui, per ricondurre a Lui ogni cosa. Nel rivivere il santo Triduo, disponiamoci
ad accogliere anche noi nella nostra vita la volontà di Dio, consapevoli che nella
volontà di Dio, anche se appare dura, in contrasto con le nostre intenzioni, si trova
il nostro vero bene, la via della vita. La Vergine Madre ci guidi in questo itinerario,
e ci ottenga dal suo Figlio divino la grazia di poter spendere la nostra vita per
amore di Gesù, nel servizio dei fratelli”.