2011-04-17 14:09:56

L’Ordinario militare per l’Italia, mons. Pelvi, celebra la Domenica delle Palme in Kosovo


Domenica delle Palme tra i soldati italiani impegnati per la pace. L’Ordinario militare per l’Italia, mons. Vincenzo Pelvi, è a Gjakova, in Kosovo, dove stamani ha celebrato la Messa alla presenza dei militari della missione Kfor, di esponenti della Chiesa locale e personalità della comunità kosovara. Il nostro inviato in Kosovo, Luca Collodi, ha chiesto all’arcivescovo Vincenzo Pelvi di soffermarsi sul significato di questa visita:RealAudioMP3

R. - Certamente un significato di speranza. Qui in Kosovo, come in altri teatri operativi, siamo convinti che c’è l’umanità, c’è la nostra nazione, ricca di ospitalità, ponte di concordia, serbatoio di pace. E qui in Kosovo oggi, inizio della Settimana Santa, Domenica delle Palme, c'è un annuncio di grande coraggio: andare oltre gli egoismi, le fragilità soggettive per dire a tutti che vale la pena per costruire la famiglia umana. Noi italiani siamo incoraggiati dalla fede a dare un contributo non indifferente all’ospitalità, all’armonia, a una comunicazione fondata sul coraggio della gioia condivisa e di una solidarietà partecipata.

D. - Siamo in Kosovo, un Paese che cerca la pace. Come, nella Settimana Santa, possiamo avvicinarci a questa meta della pace?

R. - La pace è un dono ed è un dono di Dio. Qui, tra i militari, vogliamo riferirci alla Lettura della Passione del Signore e fermare l’attenzione su quel soldato romano ai piedi della Croce, che dinanzi al modo di morire di Gesù esclama: “Davvero Costui era figlio di Dio”. Un pagano, un soldato che non si era mai inginocchiato, diventa il primo credente. Che significa dunque essere credenti, se non avere nel cuore proprio la pace che viene da Colui che è il pacificatore, Colui che ha portato redenzione, che è diventato ponte tra bene e male, distruggendo il male del peccato con la sua morte ed esaltando il bene con la sua Resurrezione? Allora vorrei direi che la pace la costruiscono i nostri soldati credenti, soprattutto perché aiutano anche popoli stranieri, rivolgendo lo sguardo verso l’alto, a mettersi in attesa, nella disponibilità che significa accogliere un Mistero, il mistero dell’uomo che è fatto per l’altro uomo, della famiglia che è fatta per costruire l’unica famiglia umana: “Signore, io credo in te, dammi la pace e dona la pace”. (mg)








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