L’Ordinario militare per l’Italia, mons. Pelvi, celebra la Domenica delle Palme
in Kosovo
Domenica delle Palme tra i soldati italiani impegnati per la pace. L’Ordinario militare
per l’Italia, mons. Vincenzo Pelvi, è a Gjakova, in Kosovo, dove stamani ha celebrato
la Messa alla presenza dei militari della missione Kfor, di esponenti della Chiesa
locale e personalità della comunità kosovara. Il nostro inviato in Kosovo, Luca
Collodi, ha chiesto all’arcivescovo Vincenzo Pelvi di soffermarsi sul significato
di questa visita:
R. - Certamente
un significato di speranza. Qui in Kosovo, come in altri teatri operativi, siamo convinti
che c’è l’umanità, c’è la nostra nazione, ricca di ospitalità, ponte di concordia,
serbatoio di pace. E qui in Kosovo oggi, inizio della Settimana Santa, Domenica delle
Palme, c'è un annuncio di grande coraggio: andare oltre gli egoismi, le fragilità
soggettive per dire a tutti che vale la pena per costruire la famiglia umana. Noi
italiani siamo incoraggiati dalla fede a dare un contributo non indifferente all’ospitalità,
all’armonia, a una comunicazione fondata sul coraggio della gioia condivisa e di una
solidarietà partecipata.
D. - Siamo in Kosovo, un Paese che cerca la
pace. Come, nella Settimana Santa, possiamo avvicinarci a questa meta della pace?
R.
- La pace è un dono ed è un dono di Dio. Qui, tra i militari, vogliamo riferirci alla
Lettura della Passione del Signore e fermare l’attenzione su quel soldato romano ai
piedi della Croce, che dinanzi al modo di morire di Gesù esclama: “Davvero Costui
era figlio di Dio”. Un pagano, un soldato che non si era mai inginocchiato, diventa
il primo credente. Che significa dunque essere credenti, se non avere nel cuore proprio
la pace che viene da Colui che è il pacificatore, Colui che ha portato redenzione,
che è diventato ponte tra bene e male, distruggendo il male del peccato con la sua
morte ed esaltando il bene con la sua Resurrezione? Allora vorrei direi che la pace
la costruiscono i nostri soldati credenti, soprattutto perché aiutano anche popoli
stranieri, rivolgendo lo sguardo verso l’alto, a mettersi in attesa, nella disponibilità
che significa accogliere un Mistero, il mistero dell’uomo che è fatto per l’altro
uomo, della famiglia che è fatta per costruire l’unica famiglia umana: “Signore, io
credo in te, dammi la pace e dona la pace”. (mg)