Nuovi massacri in Sudan in vista dell'indipendenza del Sud: la testimonianza di un
missionario
In Sudan più di 20 persone, tra cui donne e bambini, sono state uccise nei giorni
scorsi nel corso di un attacco condotto da truppe paramilitari in un villaggio del
Sud Kordofan, regione confinante con il Darfur. Si tratta di violenze che avvengono
sullo sfondo di profondi mutamenti che, nei prossimi mesi, cambieranno la geografia
del territorio sudanese. Il Sud Sudan, infatti, il 9 luglio diventerà un Paese indipendente
è sarà il 54.esimo Stato del Continente africano. Su questo nuovo attacco e sulla
situazione in Sud Sudan, ormai vicino all’indipendenza, si sofferma, al microfono
di Amedeo Lomonaco, il provinciale dei missionari Comboniani in Sud Sudan padre
Daniele Moschetti, raggiunto telefonicamente a Juba:
R. - Sono
attacchi di vari gruppi ribelli, che stanno cercando “un posto al sole” per quel che
riguarda la spartizione di potere di quello che sarà il nuovo governo, dopo il 9 luglio
in Sud Sudan. Il Sud Kordofan non è nemmeno nel Sud, perché il Sud Kordofan è ancora
fuori dal confine del Sud Sudan, e si trova così nel Nord del Sudan: è però una delle
regioni, una degli Stati che vuole unirsi al Sud, ma è forte la resistenza del presidente
del Sudan, Omar Hassan Ahmad Al-Bashir.
D. - Ricordiamo poi che nel Sud Kordofan, teatro di questo nuovo drammatico
attacco, vive una significativa comunità non araba, cristiana, e che il prossimo 2
maggio gli elettori saranno chiamati alle urne per scegliere il nuovo governatore.
Si tratta di una tappa importante…
R. - Certamente. Dopo il 9 luglio,
comunque, i focolai di guerra rimarranno. Probabilmente nel momento in cui ci sarà
la dichiarazione di indipendenza da parte del Sud, si intensificheranno quelle che
poi saranno le difficoltà di relazioni con il Nord per questi due Stati, il Sud Korfodan
e il Blue Nile. E quest’ultima potrebbe essere una zona ancora più a rischio di quanto
lo è oggi.
D. - Come si sta avvicinando il Sud Sudan a questa importante
data dell’indipendenza?
R. – L’impegno più grande, che è già adesso
in atto e che proseguirà poi anche dopo il 9 luglio, sarà esattamente quello di lavorare
per integrare le varie etnie, perché in questi anni c’è stato molto isolamento, anche
a causa della guerra. Quindi, c’è tutto un cammino da compiere e un “processo di guarigione”,
che sarà lento e indubbiamente ci vorranno decenni, perché vi sia realmente un’integrazione
fra le etnie. Questo è il grande lavoro da fare.
D. - Con l’indipendenza
cambierà anche il vostro lavoro missionario?
R. – Indubbiamente, il
Sud Sudan non sarà mai più lo stesso né come Stato, perché sarà uno Stato nuovo, né
come Chiesa. Dobbiamo trovare un nuovo approccio e questo approccio è esattamente
quello dell’integrazione, della non violenza e della pace.
D. - Il
fatto che nasca un nuovo Stato, abitato in prevalenza da cristiani, può avere degli
influssi positivi anche per tutta la regione?
R. - Il Vangelo deve ancora
penetrare profondamente in quella che è la realtà delle varie etnie per fare in modo
che il popolo sud sudanese possa davvero riconoscersi come nazione. Stiamo diventando
una nazione, indubbiamente indipendente, ma questo è tutto da costruire insieme e
la Chiesa ha un gradissimo ruolo. (mg)