Bombe a grappolo contro Misurata, situazione sempre più drammatica: Gheddafi nega
A due mesi dall’inizio della rivolta in Libia contro Gheddafi, gli scontri tra forze
lealiste e milizie degli insorti si stanno concentrando sulla città di Misurata. La
guerra sta assumendo toni sempre più drammatici. Il New York Times e l’organizzazione
Human Right Watch riferiscono che l’esercito di Tripoli starebbe usando sui civili
le cluster bombs, le famigerate bombe a grappolo, ormai messe al bando in quasi
tutto il mondo. Bombardamenti si segnalano anche in altre zone del Paese. Qual è,
in questa fase della crisi, il ruolo della coalizione internazionale in Libia? Giancarlo
La Vella lo ha chiesto ad Arduino Paniccia, docente di Studi Strategici
all’Università di Trieste:
R. – La Nato
sta cercando di trovare una coesione rispetto al problema di continuare ad aiutare
le forze ribelli, sia attraverso la fornitura di armamenti sia con possibili sbarchi
a terra. Questi, però, sono temuti da moltissime delle nazioni aderenti all’organizzazione,
per i pericoli che naturalmente comporta. Politicamente l’Unione Europea è spaccata
su due fronti: il fronte più interventista – guidato dai francesi e dagli inglesi
– ed un fronte per proseguire invece sulla strada della trattativa e del negoziato
diplomatico. L’Italia, in questo momento, sta mediando tra queste posizioni differenti.
D.
– Lei intravede la possibilità anche di un’azione di terra?
R. – Questa
è la possibilità estrema. Nel momento in cui non si riuscisse ad arrivare, attraverso
la trattativa e il negoziato, quantomeno ad un ‘cessate il fuoco’, si penserebbe all’apertura
di corridoi umanitari. Non va dimenticato anche il mantenimento delle forniture di
gas e petrolio - che sono assolutamente a rischio e naturalmente, in queste ultime
settimane, sono anche declinate -, che compromettono completamente qualsiasi possibilità
per la popolazione di sopravvivere e di resistere, e quindi di aumentare anche il
rischio di una vera e propria catastrofe umanitaria. In quel caso, probabilmente,
la Nato comincerebbe anche a pensare a qualche intervento più forte.
D.
– Che Libia vorrebbero gli Stati Uniti, l’Europa e le altre potenze mondiali?
R.
– La sensazione è che gli Stati Uniti siano ancora molto preoccupati per l’Afghanistan,
che il loro interesse permanga tutto nell’area del Golfo Persico, che il loro centro
di difesa resti quello che non si deve toccare – l’Arabia Saudita – e che guardino
con molta attenzione, come sempre, alle vicende dell’Iran. Per il momento, lascerebbero
all’Unione Europa la decisione di quello che ne sarà della Libia. Su un punto sono
tutti d’accordo: non esiste un futuro per la Libia se Gheddafi non esce di scena.
Il vero, grande problema è capire come farlo uscire di scena senza l’intervento militare
diretto oppure capire se si può evitare lo scontro più duro per arrivare a quest’obiettivo,
cioè un futuro per il Paese senza Gheddafi.
D. – Lei accennava all’emergenza
umanitaria che, soprattutto per l’Italia, potrebbe tradursi in nuovi, imponenti sbarchi.
Su questo punto l’Europa riuscirà ad avere una posizione unitaria?
R.
– No, non credo. L’Europa dei Paesi del nord è lontana e distante da queste vicende
ed è una cosa quasi incredibile. Quello che dobbiamo cercare di capire è che l’Europa
è composta da tutte le frontiere e la prima frontiera, la più importante, in questo
momento non è più l’Est ma è il Mediterraneo. Questo una ventina di Paesi dell’Europa
stentano a capirlo. (vv)