Libia: assedio a Misurata. Francia contraria ad armare gli insorti
Nato, Lega araba e Paesi emergenti: la Libia al centro dei vertici internazionali
di Berlino, del Cairo e della località meridionale cinese di Sanya. In primo piano:
le operazioni militari e la fornitura di armi agli insorti. Gli Stati Uniti, col segretario
di Stato Hillary Clinton, hanno fatto sapere che sosterranno la missione dell’Alleanza
atlantica fino all’uscita di scena di Gheddafi. Il servizio di Giada Aquilino:
All’indomani
della riunione del Gruppo di contatto a Doha, in Qatar, che ha sancito la nascita
di un fondo d’aiuto alla ribellione in Libia ed ha riproposto il dibattito
sulla fornitura di equipaggiamento militare agli insorti, da Tripoli il vicario
apostolico mons. Giovanni Innocenzo Martinelli - intervistato dall’Agenzia Fides -
ha detto che “fornendo armi ai ribelli di Bengasi si rischia di non far terminare
la guerra, anzi di prolungarla”. La missione militare nel Paese nordafricano
è al centro del vertice dei ministri degli Esteri della Nato, oggi e domani a Berlino:
Francia e Gran Bretagna premono perché si accentui la pressione sull’ex rais. Parigi
però rimane contraria ad armare gli insorti, che anche nelle ultime ore hanno
chiesto di intensificare gli attacchi. La Spagna ha fatto sapere che non cambierà
il proprio ruolo all’interno della missione militare. Dalla località balneare cinese
di Sanya, dove si sono riuniti i Paesi emergenti del cosiddetto ‘Brics’- Brasile,
Russia, India, Cina e Sudafrica - è arrivato invece un fermo no all’uso della
forza in Libia. Alla conferenza organizzata presso la Lega Araba al Cairo prendono
parte il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, che ha espresso “grave preoccupazione
per l’escalation della violenza e per le violazioni dei diritti umani” in Libia e
ha invocato un cessate il fuoco immediato; l’Alto rappresentante europeo per la politica
estera, Catherine Ashton, che ha chiesto un’uscita di scena repentina per Gheddafi,
ed il presidente della Commissione dell’Unione africana, Jean Ping. Davanti alla sede
della Lega Araba, manifestanti con bandiere libiche e cartelli chiedono di salvare
Misurata, l’enclave ad est di Tripoli controllata dai ribelli, da giorni attaccata
dai fedelissimi di Gheddafi: anche stamani almeno 80 missili sono stati sparati
sulla zona del porto, uccidendo oltre 20 persone. Gli insorti hanno ulteriormente
denunciato che, se la situazione non cambierà, a Misurata sarà un “massacro”.
Per
una testimonianza sulla situazione drammatica che sta vivendo la città libica di Misurata,
divenuta ormai simbolo di questo conflitto, Stefano Leszczynski ha intervistato
Alessandro Gandolfi, fotoreporter appena rientrato dalla Libia:
R. – La situazione
è drammatica e la città è sostanzialmente divisa in due. La zona meridionale è in
mano ai lealisti di Gheddafi, che hanno carri armati sparsi in questa parte della
città e cecchini posizionati sui tetti delle case, che sparano a chiunque si sposti
nelle strade, donne e bambini compresi.
D. – Una delle notizie che giungono
con maggiore difficoltà sono quelle sulle vittime che sta provocando questo conflitto…
R.
– A Misurata fonti ribelli, abbastanza attendibili, mi hanno dato una cifra di circa
600 morti dall’inizio del conflitto, solo a Misurata, e aumentano ovviamente di giorno
in giorno.
D. – Tra tutte le cose che hai potuto vedere nella tua permanenza
sul fronte, qual è la situazione che ti ha colpito di più?
R. – Purtroppo
una clinica privata a Misurata, dove arrivano quotidianamente feriti, che non sono
soldati, ma sono persone civili, colpite dal fuoco dei cecchini posizionati da Gheddafi
sui tetti delle case: immagine devastante, proprio perché cerca di danneggiare, distruggere
qualunque forma di vita civile, in una città che è la terza per dimensioni in Libia.
A Bengasi la situazione è relativamente tranquilla, anche se certamente arrivano feriti
dal fronte di Ajdabiya. La situazione, però, a Misurata, avendola vista
con i miei occhi, è veramente più grave, perché è una situazione di assedio continuo,
che non c’è a Bengasi: per questo è un’emergenza di cui la comunità internazionale
dovrebbe farsi carico, anche dal punto di vista degli aiuti umanitari. (ap)