Corea del Nord: oltre 50mila cristiani in campi di prigionia
Diritti umani calpestati, libertà di religione negata, oltre 50 mila cristiani in
campi di prigionia per la loro fede, vittime di un sistema giudiziario basato sull’ideologia
del regime: il drammatico quadro della Corea del Nord, tracciato nel Rapporto 2011
dell’Ong americana “Open Doors”. Al Paese asiatico – riferisce l’agenzia Fides - viene
assegnata la “maglia nera” nel mondo per le violazioni alla libertà di coscienza e
di religione. La grave situazione è confermata da Marzuki Darusman, nuovo Osservatore
speciale Onu per i Diritti umani nel Nord Corea. Nel rapporto presentato al Consiglio
Onu per i Diritti Umani di Ginevra, si spiega che il sistema giudiziario nordocoreano
manca di indipendenza rispetto al regime. Oltre al potere giudiziario dei Tribunali
ordinari, esiste nel Paese un “sistema di giustizia parallelo”, che poggia - spiega
il Rapporto Onu – su una serie di provvedimenti come la “Legge sul Controllo della
Sicurezza Nazionale” ed organismi che possono giudicare le persona: il "Comitato di
Giudizio dei Compagni"; il “Comitato di guida per la vita nella legalità socialista”;
il “Comitato di Sicurezza”. Tutti i cittadini coreani o stranieri sottoposti ai verdetti
di questi organi sono spediti in campi di prigionia, sottoposti a torture e a trattamenti
crudeli e disumani. I dissidenti politici con le loro famiglie, spesso detenuti a
vita, subiscono la fame e il lavoro forzato. Fra costoro vi sono anche i prigionieri
per motivi di coscienza e di religione. Secondo “Open Doors” vi sono oltre 50 mila
cristiani detenuti, su circa 400 mila - il 2% della popolazione - presenti nel Paese.
Fra i centri di detenzione vi sono: il “Gwanliso” (campo di lavoro per detenuti di
coscienza); il “Gyohwaso” (campo di lavoro per prigionieri di lunga durata); il “Jipgyulso”
(prigione semplice); il “Rodongdanryundae” (carcere di lavoro). La libertà di religione
in Corea del Nord è totalmente negata, come quella di coscienza, di opinione, di pacifica
associazione. Secondo le testimonianze di persone fuggite dal Paese, il regime continua
un’intensa propaganda anti-religiosa e perseguita le persone impegnate in attività
confessionali anche private. Il regime afferma che la “Juche”, l’ideologia ufficiale
dello Stato, è l'unico sistema di pensiero e di credo permesso. In questo contesto
sarà processato il missionario cristiano, Jun Young-Su, laico, cittadino americano,
della chiesa di Orange County, in California. E’ accusato di “crimini contro la nazione”.
Secondo quanto riferisce l'agenzia di stampa ufficiale del regime, il missionario
viaggiava nel Paese asiatico nelle vesti di imprenditore e avrebbe compiuto attività
religiose e di proselitismo non autorizzate. Il Dipartimento di Stato Usa ne ha richiesto
il rilascio per motivi umanitari. Il suo caso ricorda quello di un altro missionario
americano, Robert Park, entrato in Nord Corea nel Natale 2009 per richiamare l’attenzione
del mondo sugli abusi dei diritti umani e della libertà religiosa nel Paese, che venne
arrestato e poi espulso. Per esprimere solidarietà e vicinanza spirituale al missionario,
i cristiani si mobiliteranno per la “Settimana di Preghiera per la Libertà in Nord
Corea”, che si terrà da 24 al 30 aprile in tutto il mondo, lanciata dalla Ong americana
“Open Doors”, Intanto nei giorni scorsi a Seul un network di organizzazioni religiose,
“Religious Solidarity for Reconciliation and Peace of Korea”, ha chiesto ufficialmente
al governo sudcoreano di riprendere le operazioni umanitarie verso il Nord, a beneficio
della popolazione che soffre per la fame e la malnutrizione. Oltre 600 leader religiosi
buddisti, cristiani e di altre fedi hanno firmato e consegnato una petizione che chiede
a Seul di riattivare prontamente i canali umanitari. Secondo i leader, l’opera umanitaria,
del tutto indipendente dalle ragioni politiche, costituisce comunque un utile canale
di dialogo e di contatto aperto, grazie al quale è più facile discutere e risolvere,
indirettamente, anche questioni di natura diplomatica. (R.G.)