2011-04-13 15:27:58

Giornata di studio sui "martiri per la giustizia" nel Sud d'Italia: Livatino, Puglisi, Diana


“Il martirio rischia di diventare una realtà eterea se non si parla dei martiri”. Il richiamo giunge da Napoli, dove ieri si è svolta, presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale - sezione San Luigi - la 7.ma Giornata di studio sulla storia del cristianesimo, organizzata dall’Istituto storico “Cataldo Naro”. Al centro dei lavori - che hanno riunito studenti, docenti e semplici cittadini - le figure del giudice Rosario Livatino, di Don Pino Puglisi e don Beppe Diana, uccisi perché impegnati sul fronte della giustizia nel Sud. Filo rosso dell’incontro la condivisa affermazione che il martire non è un eroe, non testimonia il culto di sé, non agisce per impulso personale, ma con libertà e responsabilità sceglie di morire con e come Gesù Cristo per la giustizia. Ma quale immagine di queste tre figure si è voluta offrire in questa giornata di approfondimento? Antonella Palermo lo ha chiesto a Sergio Tanzarella, professore ordinario di Storia della Chiesa alla Facoltà teologica dell’Italia Meridionale:RealAudioMP3

R. – E’ l’immagine di una testimonianza libera e di un contrasto alle associazioni criminali realizzato sul piano dell’educazione, dell’impegno al lavoro ed anche di una pastorale attenta alle condizioni della vita concreta dei cittadini.

D. – C’è uno sguardo, ci sono parole che abbiamo dimenticato quando facciamo riferimento a figure come queste?

R. – Anzitutto la giustizia: non tanto e non solo la legalità, ma soprattutto la giustizia. La ricerca di condizioni di libertà e di vita che al sud – ma non soltanto al sud – venivano allora e vengono oggi in qualche misure dimenticate.

D. – Livatino, Beppe Diana, Pino Puglisi: persone di fede. Dall’opinione pubblica, anche non credente, come sono considerate?

R. – Da un lato c’è il rischio della smemoratezza, dall’altro c’è il rischio di un ricordo rituale o a volte anche di un uso strumentale e superficiale, che non passa attraverso i loro scritti e la loro azione. L’errore potrebbe essere quello di circoscrivere il loro impegno e la loro memoria alla realtà meridionale o anche alle Chiese del Meridione. Ma in realtà non è così: sono figure che hanno, soprattutto in questo momento di celebrazioni talvolta un po’ pompose dell’Unità d’Italia, probabilmente da ricordare quale sia stato il prezzo altissimo che hanno pagato sacerdoti e uomini di fede – tutti e tre loro, ma non soltanto loro – per testimoniare la propria fede, senza altri aggettivi e senza altri orpelli. Questo non riguarda soltanto il Meridione, ma riguarda tutta l’Italia e soprattutto in questo momento nel quale si affermano, ancora una volta e circa da 20 anni, volontà di separazione, di persecuzione, di nuovi razzismi.

D. – La parte conclusiva dell’incontro di studio ha avuto per titolo: “Non eroi ma martiri. La Chiesa sulla frontiera”. Qual è la differenza tra eroe e martire?

R. – L’eroismo ha una diretta dipendenza dal modello greco. L’eroe è una sorta di superuomo e ciò che fa lo compie con capacità straordinarie, potremmo dire sovraumane; il martire, ciò che compie e ciò che professa, lo fa per grazia di Dio. E’ Dio che gli dà la forza ed egli è testimone di Gesù Cristo, ne ripercorre lo stesso cammino. C’è una differenza sostanziale e che dovrebbe apparire evidente se considerano appunto i contesti nei quali sono stati elaborati questi termini: oggi la confusione mette da parte tutto questo e fa diventare martiri anche coloro i quali svolgono altri impegni e altri lavori, talvolta non particolarmente in linea con il rispetto della dignità umana. (mg)







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