Libia. Piano di pace dell'Unione Africana: sì da Nato e Ue se Gheddafi lascia il potere
Libia: dopo il sì di Gheddafi anche la Nato e l’Unione Europea danno il benvenuto
al percorso di pace proposto dell’Unione Africana. Ma l’uscita di scena del rais appare
una precondizione necessaria per la riconciliazione nazionale. Si attende ora la risposta
dei ribelli a Bengasi, dove è giunta stamane una delegazione dell’Ua. Il servizio
di Roberta Gisotti.
Prima
di pensare ad un ‘cessate il fuoco’ le truppe di Gheddafi devono ritirarsi dalle strade
e deve essere rispettata la libertà di espressione. La voce dei ribelli libici a Bengasi
ha preceduto l’arrivo in tarda mattinata della delegazione dell’Unione Africana, che
ieri a Tripoli ha raccolto il sì di Gheddafi ad una pace, mediata dall’Ua, che lo
stesso leader aveva invocata per uscire dalla crisi. Il piano dell’Ua prevede: un
cessate il fuoco immediato, il via libera agli aiuti e l’apertura del dialogo tra
Tripoli e Bengasi. La mediazione dell’Unione Africana è stata accolta con favore dalla
Nato per “fermare la violenza contro la popolazione civile in Libia”, e cosi anche
dall’Unione Europea. Catherine Ashton, Alto rappresentante per la politica estera
dell’Ue, sarà insieme ai rappresentanti della Lega Araba e dei Paesi africani, mercoledì
al Cairo alla Conferenza dell’Onu per la Libia. Annunciato dal vicario apostolico
di Tripoli, Giovanni Innocenzo Martinelli, un documento delle comunità cristiane della
città a sostegno di una soluzione diplomatica, che sarà consegnato alle Nazioni Unite.
La
crisi del Paese nordafricano sarà uno dei temi al terzo Vertice - il 14 e 15 aprile
- del cosiddetto Gruppo Bric, dal nome dei Paesi partecipanti: Brasile, Russia, India
e Cina. Ma la soluzione politica ha commentato un alto ufficiale Nato potrà esserci
solo con l’uscita di scena di Gheddafi. Di certo questa è una “precondizione
perché si possa ricominciare con la riconciliazione nazionale in Libia", ha
spiegato il ministro degli Esteri italiano, Franco Frattini. Il fronte armato resta
comunque aperto nelle due città di Ajdabiya e di Misurata, bombardata stamane con
missili Grad dalle forze di Gheddafi. E’ stato intanto ritrovato il fotografo indiano
dell'agenzia Associated Press, scomparso nei pressi di Ajdabiya, dove sono stati rilasciati
anche 5 giornalisti russi della Komsomolskaya Pravda e della televisione Ntv, trattenuti
11 ore dai ribelli.
Dunque, occhi puntati sulla diplomazia per una soluzione
alla guerra in Libia. Ma quali sono le possibilità sul terreno di tacitare le armi
ed accompagnare la Libia in un processo di democratizzazione. Stefano Leszczynski
lo ha chiesto al prof. Antonio Papisca,titolare della cattedra Unesco
per i diritti umani, la democrazia e la pace dell'Università di Padova.
R. – A questo
punto bisogna uscire fuori dallo schema dei giochi a somma zero: tutta la vittoria
da una parte e tutta la sconfitta dall’altra. Qui c’è un’offerta di mediazione e qualsiasi
spiraglio che si apre per la pace bisogna prenderlo. Io direi che in questo momento
la comunità internazionale debba prendere alla lettera quanto viene proposto da una
delle due istituzioni competenti per area - Unione Africana e Lega Araba – e immaginare
ulteriori passi.
D. – Quali potrebbero essere questi ulteriori passi,
in base anche alla Risoluzione che è stata approvata dal Consiglio di Sicurezza?
R.
– La Risoluzione 1973 esclude che l’intervento possa tradursi in forme di occupazione
territoriale, però non esclude che ci sia un dispiegamento a terra di una forza di
interposizione, che naturalmente dovrebbe avere un mandato molto preciso, puntuale
e che ora dovrebbe tener conto della volontà manifestata anche da parte di Tripoli
di accedere a una qualche soluzione diplomatica. Condizione “sine qua non” è la cessazione
da parte di Gheddafi dell’uso delle armi.
D. – Un’ipotesi di questo
tipo potrebbe condurre anche ad una spaccatura della Libia, che rischierebbe di durare
per moltissimo tempo?
R. - Sì, certo, questa è un’ipotesi plausibile
ma la comunità internazionale in questo momento deve avere come obiettivo quello
di far cessare l’uso della violenza da una parte e dall’altra. Per evitare che questa
situazione - che è sempre lì sul punto di riesplodere - si incancrenisca, in termini
di violenza, occorre che la comunità internazionale si interessi della questione libica
in un più ampio contesto di mutamenti strutturali che si stanno delineando in tutta
l’area. La comunità internazionale deve essere presente in maniera assidua e trovare
tutti i mezzi per favorire le forze locali che rivendicano libertà, democrazia, diritti
umani e Stato di diritto. Deve essere la politica che prende in mano l’iniziativa.
(bf)