Libia: bombardata Ajdabiya, ribelli in fuga. Al via missione africana per il cessate-il-fuoco
In Libia, le forze lealiste hanno bombardato la città di Ajdabiya, costringendo alla
fuga i ribelli. Sul fronte diplomatico, l’Unione Europea si è detta pronta ad una
missione umanitaria in appoggio dell’Onu, mentre la Nato sta cercando di definire
la nuova strategia. Intanto oggi, a Tripoli, è partita ufficialmente la missione dell’Unione
Africana nel tentativo di mediare un cessate-il-fuoco tra le parti. La cronaca nel
servizio di Eugenio Bonanata:
Un incontro
oggi a tripoli con Gheddafi, poi, tra domani e lunedì, colloqui con i vertici del
Consiglio nazionale transitorio a Bengasi. La delegazione dell’Unione Africana – composta
tra gli altri dal presidente sudafricano Zuma e da quelli di Congo, Mali, Mauritania
e Uganda – punta ad avviare il confronto politico tra le due parti avendo già chiarito
in questi giorni che non gradisce affatto l’intervento militare straniero. La Nato
– finita al centro di polemiche per le vittime civili nei raid aerei di questi giorni
– ha escluso la possibilità di un impiego di truppe di terra in vista della transizione
libica. L’Unione Europea, invece – in una lettera inviata oggi dall'Alto rappresentante
della politica estera della Ue, Catherine Ashton, al numero uno delle Nazioni Unite,
Ban Ki-moon – ha chiarito di essere pronta a una missione nel Paese nel caso in cui
l’Onu chieda appoggio militare per organizzare gli aiuti umanitari. L’operazione,
per la quale i 27 hanno messo finora a disposizione 7,9 milioni di euro, sarà discussa
dai ministri degli Esteri dell’Ue martedì prossimo a Lussemburgo. Nell’occasione,
ci sarà anche un rappresentante dei ribelli libici per un colloquio a carattere ancora
informale, viste le resistenze di alcuni Stati membri, indecisi sul riconoscimento
ufficiale della struttura di Bengasi. Sempre martedì, il presidente del Consiglio
nazionale transitorio sarà a Roma per incontri con i vertici italiani, i quali nella
stessa giornata saranno a colloquio con i colleghi di Francia e Gran Bretagna per
decidere la condotta da tenere sul campo. In cima alle preoccupazioni umanitarie resta
Misurata, con i suoi 300 mila abitanti, sotto assedio da decine di giorni. Nel porto
della città, ancora in mano ai ribelli, oggi è arrivata una nave della Croce Rossa
con forniture mediche a sostegno dell’ospedale cittadino. L’organizzazione internazionale
ha ribadito che il suo obbiettivo è portare soccorso anche nelle zone controllate
dal regime di Gheddafi. Regime che con le sue forze armate ha bombardato la zona occidentale
di Ajdabiya, provocando – secondo testimoni – la fuga dei ribelli. Il presidente del
Consiglio nazionale transitorio martedì sarà a Roma per incontri con i vertici italiani
i quali nella stessa giornata saranno a colloquio con i colleghi di Francia e Gran
Bretagna per decidere la condotta da tenere sul campo.
Egitto Tornano
le manifestazioni e le violenze nella capitale egiziana de Il Cairo, a due mesi dalla
fine del regime di Mubarak: era l'11 febbraio infatti quando l’ex rais lasciava il
potere. Per le forze armate, gli scontri sono stati incitati da esponenti del Partito
nazionale democratico di Mubarak, verso i quali è stato spiccato ordine di arresto.
Il servizio di Giada Aquilino:
Piazza Tahrir
al Cairo, luogo simbolo della rivoluzione anti-Mubarak, torna ad essere teatro della
protesta degli egiziani e della battaglia tra manifestanti ed esercito. Un autobus
per il trasporto di truppe è stato dato alle fiamme stamani nella piazza, dopo una
notte di scontri. Ambulanze sono arrivate nella zona, completamente sigillata dalle
forze armate. Secondo i militari, che hanno anche usato lacrimogeni per disperdere
la folla riunita da ieri, la situazione è sotto controllo, ma fonti mediche parlano
di almeno due morti e 18 feriti. Tutto è cominciato nel venerdì di preghiera islamica:
a due mesi dalla fine del regime trentennale dell’ex rais, centinaia di migliaia
di persone hanno chiesto a gran voce che Mubarak, la sua famiglia e il suo entourage
vengano processati. Per vari siti internet, sarebbe stata superata la quota fatidica
di un milione di partecipanti, obiettivo degli organizzatori, ai quali si sono uniti
ufficialmente anche i Fratelli musulmani. Sugli ultimi episodi di violenza, scattati
ieri, Antonella Palermo ha raggiunto telefonicamente Marco
Masulli, studente italiano al Cairo:
R. - In questi giorni,
a dire la verità fino a ieri, la vita stava riprendendo a scorrere normalmente, anche
perché è stato tolto il coprifuoco, durato per quasi due mesi. Quello che ho sentito
è che c’è stata questa grande manifestazione di un milione di persone, dopo di che,
verso sera, alcuni manifestanti hanno provato a rimanere in piazza per un sit-in,
per dormire lì, addirittura con alcuni ufficiali dell’esercito tra loro. Questo sit-in,
però, è stato stroncato in modo violento dall’arrivo dell’esercito.
D.
- Sono ultime rappresaglie di una situazione che va verso la stabilità?
R.
- La situazione potrebbe ancora cambiare da un momento all’altro, per come si stanno
mettendo le cose: c’è del malcontento, soprattutto per quanto riguarda le condizioni
economiche in cui versa la maggior parte della popolazione. Il fatto principale è
che si nota un esaurimento della spinta rivoluzionaria delle scorse settimane, e tuttavia
una parte della popolazione che ancora continua a protestare. Sono proprio queste
persone a essere state colpite ieri sera. (vv)
Yemen Nuove manifestazioni
nello Yemen. In migliaia oggi sono scesi in piazza, a Taiz, a sud della capitale Sanaa,
per protestare contro la morte di quattro persone avvenuta ieri, sempre nella stessa
città, quando le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco contro i dimostranti antigovernativi.
Ribadito il rifiuto di qualsiasi mediazione che non includa l’uscita di scena del
presidente Saleh, al potere da 32 anni. Nelle stesse ore, la città meridionale di
Aden è rimasta paralizzata per uno sciopero generale indetto in segno di protesta
contro il regime.
Medio Oriente Continua a restare alta la tensione
in Medio Oriente. In mattinata, ci sono stati nuovi raid aerei israeliani nella Striscia
di Gaza che hanno provocato altri quattro morti. Sale così a 17 il numero dei palestinesi
uccisi da giovedì scorso, in risposta al razzo che ha centrato uno scuolabus nel sud
dello Stato ebraico ferendo un ragazzo. Ripreso anche il lancio di ordigni dalla Striscia
con i fondamentalisti di Hamas, al potere nella regione, che hanno proclamato lo stato
d’emergenza per i servizi di sicurezza, invocando una “terza intifada” in Cisgiordania.
Afghanistan Talebani
in azione in Afghanistan. Hanno ucciso il capo della polizia distrettuale della provincia
di Sar-i-Pul, in un’imboscata avvenuta ieri nella zona di Gosfandi, dove erano in
contro scontri fra le forze di sicurezza e gli insorti. Nel rivendicare l’azione i
ribelli hanno precisato di aver ucciso in tutto sei soldati tra due comandanti.
Iraq In
Iraq, minacce contro le forze statunitensi da parte del leader radicale sciita, Moqtada
Sadr. Attraverso il suo portavoce ha fatto sapere che l’esercito del Mahdi riprenderà
la lotta armata se le truppe Usa non lasceranno il Paese nei tempi previsti, e cioè
entro la fine dell’anno. Ieri, il segretario alla Difesa americano, Gates, aveva detto
che la missione in Iraq potrebbe essere prolungata solo dietro richiesta delle autorità
di Baghdad.
Usa-Finanziaria “Scelte dolorose ma necessarie”. Così
si è espresso il presidente statunitense, Barck Obama, intervenendo in televisione
subito dopo l’accordo raggiunto la scorsa notte, in extremis, sulla finanziaria 2011.
In questo modo, si evita la paralisi degli uffici governativi. I particolari, nel
servizio da Washington di Francesca Baronio:
A poco più
di un’ora dalla scadenza di mezzanotte di ieri, è arrivata l’intesa che evita la paralisi
del governo americano. Repubblicani e democratici hanno trovato la quadratura per
approvare il bilancio statale dell’anno in corso, con un accordo-ponte che lascia
tempo sino alla prossima settimana per definire i dettagli. Scongiurata, dunque, la
temuta chiusura del governo che avrebbe lasciato a casa 800 mila dipendenti, congelato
stipendi e pensioni statali, chiuso musei e monumenti. I repubblicani portano a casa
tagli aggiuntivi alla spesa pubblica per 39 miliardi, ossia ben sei in più di quelli
sinora ottenuti, mentre i democratici non cedono sul programma della pianificazione
familiare, che contiene i controversi fondi per l’aborto. “Ce l’abbiamo fatta”, ha
annunciato raggiante Obama, sottolineando come l’America delle tante differenze sia
riuscita, ancora una volta, a parlare con una voce sola. Se da un lato i tagli faranno
male soprattutto all’elettorato di Obama, dall’altro l’accordo lo rafforza come presidente
e mediatore, capace di assumere il ruolo di leader. Fortificata dallo scontro anche
l’ala più conservatrice dei repubblicani – quella dei “tea party” – che hanno messo
più volte in difficoltà la leadership dello speaker della Camera, John Boehner. Ma
questo non è che l’inizio di un negoziato ancora più duro, che si consumerà a breve
sulla struttura del bilancio dei prossimi 10 anni.
Giappone Proseguono
in Giappone i lavori per la messa in sicurezza degli impianti nella centrale nucleare
di Fukushima. La Tepco – la società che gestisce la struttura – ha fatto sapere che
domani terminerà lo scarico volontario in mare di acqua a bassa radioattività proveniente
dal reattore numero 2. L’operazione consentirà di utilizzare le ampie vasche di contenimento
per immagazzinare acqua altamente radioattiva. Parallelamente, sono stati avviati
i lavori di recinzione con acciaio e sacchi di sabbia per evitare che altro liquido
contaminato raggiunga il mare.
Iran - nucleare L’Iran ha fatto sapere
che potrebbe “risolvere facilmente” i problemi nella centrale nucleare di Fukushima,
in Giappone, dopo il terremoto e lo tsunami dell’11 marzo. Un responsabile del programma
nucleare di Teheran ha affermato che il suo Paese ha “fatto grandi progressi in campo
nucleare, specie negli ultimi 6-7 anni” e che per questo forse oggi si trova ad un
livello superiore rispetto al Giappone.
Perù Perù domani al voto
per le presidenziali. Si dovrà scegliere il successore dell’attuale capo di Stato,
Alan Garcia. Secondo i sondaggi, nessuno dei candidati in lizza riuscirà ad ottenere
il 50 per cento dei voti. Il servizio è di Francesca Ambrogetti:
Si vota domani
in Perú, il Paese del miracolo economico latinoamericano. Saranno le elezioni più
contese della storia, con tanti scenari aperti e un’unica certezza: si andrà al ballottaggio.
Per vincere al primo turno ci vuole il 50 per cento dei voti, un traguardo dal quale
sono ben lontani tutti i candidati. In testa, secondo i sondaggi, l’ex militare nazionalista
di sinistra, Ollanta Humala, sconfitto per pochi punti nel 2006 dall’attuale presidente,
Alan Garcìa, che spera questa volta di farcela. L’intenzione di voto del 25 per cento
dovrebbe garantirgli il passaggio al secondo turno. Tra i tre candidati che potrebbero
contendergli la presidenza, la differenza è minima. A a Keiko Fujimori, figlio dell’ex
presidente, in carcere per violazione dei diritti umani, i sondaggi attribuiscono
il 20 per cento: solo due punti al di sopra di Alexandro Toledo, ex presidente centrista.
Quindi, Pablo Kucinski, l’unico imprenditore ed ex ministro dell’economia. Due rivali,
questi ultimi, accusati da Humala di promettere ora ciò che non hanno fatto quando
erano al governo. Gli sguardi sono puntati sul programma economico dei candidati:
con diverse sfumature, tutti sostengono che manterranno e miglioreranno il modello
che ha portato il Perù, con una crescita sostenuta, al miglior momento della sua storia,
ma anche con un forte debito sociale, il 35 per cento della popolazione è ancora sommerso
nella povertà.
Precari manifestazioni Italia “Il nostro tempo
è adesso. La vita non aspetta”. Questo lo slogan della manifestazione contro il precariato
che si svolgerà oggi in diverse città italiane. L’appuntamento principale a Roma,
dove è previsto un corteo da Piazza della Repubblica al Colosseo. Ieri, l’appello
in difesa dei posti di lavoro da parte del presidente della Conferenza episcopale
italiana, il cardinale Angelo Bagnasco. “Il precariato lavorativo sia solo una fase
transitoria”, ha detto il porporato, ricordando che lo “scopo della politica è la
giustizia.
Crisi Germania-Spagna Il ministro delle Finanze tedesco,
Schauble, ha escluso che si possa arrivare a un salvataggio anche per la Spagna, mentre
ha spiegato che i prestiti al Portogallo dovranno essere condizionati da un'azione
severa di risanamento dei conti. Da Madrid, il ministro dell’Economia spagnolo, Salgado,
ha garantito che gli stress test condotti dall’Europa sulle banche coinvolgeranno
il 100% del sistema creditizio spagnolo, perché – ha precisato – “per noi la
trasparenza è fondamentale”.
Daghestan Assassinato in Daghestan l’imam
moderato, Saiputdinov, figura di spicco nella turbolenta Repubblica autonoma russa
del Caucaso settentrionale. Ignoti aggressori hanno sparato attraverso una finestra
mentre l’uomo si trovava nella sua casa, nei pressi di Kizil-Yurt, al confine con
la Cecenia. Si tratta del sesto leader religioso eliminato in Daghestan nel corso
dell’ultimo anno. (Panoramica Internazionale a cura di Eugenio Bonanata)
Bollettino
del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LV no. 99