L’astrofisico Rees, Premio Templeton 2011: scienza e fede non sono incompatibili
L’astrofisico britannico Martin J. Rees è il vincitore del Premio Templeton 2011,
riconoscimento assegnato a quanti si sono distinti nella ricerca di Dio, nella spiritualità
e nell'ambito della conoscenza scientifica. Il prof. Rees, che si dichiara non credente,
è considerato uno dei più grandi scienziati viventi. “Gli interrogativi sollevati
da Rees – ha affermato John M. Templeton, presidente della Fondazione omonima – hanno
un impatto ben più profondo che la semplice asserzione dei fatti, aprendo orizzonti
ben più larghi di quanto possa fare un telescopio”. Martin J. Rees, ha aggiunto Templeton,
“ha aperto una finestra sulla nostra vera umanità, invitando ognuno a confrontarsi
con le questioni fondamentali della nostra natura e della nostra esistenza”. Philippa
Hitchen ha chiesto al prof. Martin J. Rees di raccontare il suo percorso
di ricerca scientifica e il suo rapporto con la religione:
R. – I studied
mathematics and physics… Ho studiato matematica e fisica all’Università
e volevo trovare alcuni contesti in cui poter usare queste capacità, in ambiti in
cui si potesse procedere in velocità con vasti orizzonti concettuali. E in realtà
sono stato veramente fortunato, perché ho iniziato ad occuparmi di questi argomenti
alla fine degli anni ’60, quando ci furono sviluppi entusiasmanti - le prime prove
dell’esistenza del Big Bang, le prime prove dell’esistenza dei buchi neri e così via;
ma quello che è stato ancora più favorevole è il fatto che il passo non sia affatto
rallentato: se guardo a quello che è successo negli ultimi due anni, si tratta di
un periodo interessante quanto qualsiasi periodo precedente. In particolare, non solo
abbiamo capito molto di più delle primissime fasi dell’Universo, ma stiamo iniziando
ad avere qualche barlume di idea che il nostro Universo possa essere incredibilmente
più vasto di quello che avessimo pensato; e gli astronomi per la prima volta hanno
avuto una prova sicura che molte stelle abbiano pianeti nella loro orbita, così come
il sole è al centro dell’orbita della Terra e degli altri pianeti che conosciamo.
Quindi, i cieli notturni diventano sempre più interessanti.
D. – Lei
affronta temi particolarmente complessi: pensa che oggi le persone siano in generale
più interessate e forse anche più preparate in tali questioni di quando lei ha cominciato
il suo lavoro?
R. – I think they are. It’s very important that scientists
.... Penso di sì. E’ molto importante che gli scienziati sottolineino chiaramente
se fanno affermazioni di cui hanno una qualche certezza o se dicono cose di cui non
sono assolutamente certi. Ma io credo che sia possibile spiegare le idee chiave della
scienza, in modo comprensibile. Ovviamente noi specialisti dobbiamo scendere nei dettagli,
ma penso che le idee chiave possano essere capite da chiunque: uno dei piaceri del
mio ruolo di professore di astronomia è sapere di poter spiegare i risultati delle
nostre scoperte in modo tale che possa essere interessante per un vasto pubblico.
Penso che alla gente piaccia sapere che ci sono molti altri pianeti che orbitano attorno
ad altre stelle, che alla gente piaccia sapere che c’è stato un inizio, circa 40 miliardi
di anni fa, del nostro universo in espansione; e che alla gente farebbe piacere sapere
cosa ci riserva il futuro, e così via. Quindi, sento di essere fortunato e credo davvero
che queste idee possano essere comunicate con un linguaggio non tecnico.
D.
– Non c’è il rischio di semplificare troppo?
R. – Well, I don’t think
so ... No, non credo. Ci sono alcuni argomenti concettualmente difficili,
ma penso che l’astronomia sia molto più facile da comunicare, piuttosto, per esempio,
che la fisica subatomica, che è molto lontana dal consueto modo di pensare della gente.
Tutti guardano le stelle: il cielo notturno è forse l’aspetto del nostro ambiente
più comune a tutta l’umanità, perché in ogni epoca le persone hanno alzato gli occhi
al cielo, interpretandolo a proprio modo e ponendosi domande. Oggi noi possiamo rispondere
a domande cui non si poteva nel passato e queste domande sono radicate nel mistero
e nella meraviglia, rendendo tutto questo più affascinante e complesso.
D.
– Lei sottolinea di non avere nessun credo religioso ma di essere – cito – “un prodotto
della cultura e dell’etica cristiana della Chiesa anglicana in cui è stato allevato”.
Cosa esattamente vuol dire con questo?
R. – Well, I certainly was brought
up … Certamente sono stato educato in un tipico background inglese. Sono
andato in una scuola, dove tutti andavamo in chiesa. Sono stato molto influenzato
da questa cultura e apprezzo grandemente la tradizione estetica e musicale della Chiesa
di Inghilterra nella quale sono cresciuto. Sono un sostenitore della Chiesa d’Inghilterra
come istituzione: ritengo che siamo particolarmente fortunati perché due suoi arcivescovi,
John Sentamu e Rowan Williams, persone con modi di pensare completamente diversi,
sono entrambi individui rimarchevoli, che hanno notevolmente risollevato gli standard
del dibattito pubblico nel Regno Unito. Quindi, non credo ci sia incompatibilità tra
scienza e fede. Ci sono molti cosmologi che sono credenti: solo che io non sono tra
loro. (ap)